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IL REALISMO
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PREMESSA
La crisi
romantica ha una spiegazione non
solo nel progressivo esaurimento
di quegli slanci sentimentali ed
eroici che avevano
caratterizzato la produzione
letteraria dell’età
risorgimentale, ma anche nel
fatto che i “valori” ideali
espressi dai maggiori esponenti
del romanticismo europeo avevano
esaurito la loro funzione e non
sembravano più attuali alla
nuova generazione della seconda
metà del secolo XIX. Infatti
quei “valori” erano espressione
di un’ansia di ricerca di nuovi
princìpi umani, politici e
sociali, ma anche religiosi, che
potessero rinnovare la società
su basi di vera giustizia e nel
rispetto dell’irrinunciabile
libertà degli individui e dei
popoli. Le istanze
illuministiche di fondo,
rivedute e corrette e, se
vogliamo, ridimensionate in
termini più accessibili alle
masse popolari, erano state
fatte proprie dai romantici ed
assunte come base del programma
di riscatto delle masse popolari
nelle loro specifiche e distinte
nazionalità. Il '48 aveva solo
apparentemente mostrato
l’insufficienza
dell’interpretazione romantica
di tali istanze, ma nel giro di
pochi anni le forze più
propriamente politiche e
militari riuscirono, in Italia e
nel resto dell’Europa
occidentale, a far trionfare gli
ideali di unità, indipendenza ed
autogoverno delle nazioni ed a
realizzarli nelle forme concrete
delle istituzioni politiche.
Questo insperato successo fu
ovviamente il frutto
dell’educazione romantica che
aveva maturato la coscienza
civile di politici e militari,
cioè dei veri operatori dei
risorgimenti nazionali, ma aveva
anche inciso notevolmente,
specialmente in Italia, sulla
media borghesia come stanno a
testimoniare i risultati dei
plebisciti popolari che
seguirono alle azioni
politico-militari. Solo il
“popolino”, specie quello delle
aree meridionali, rimase per lo
più estraneo a questo processo
di rinnovamento civile a causa
della depressione culturale di
cui era vittima. E' un dato di
fatto, comunque, che l’Europa
degli anni sessanta è un’Europa
“liberale”, l’Italia è unita ed
indipendente ed è retta da una
monarchia “costituzionale”: la
grande sfida della “ideologia”
romantica alla storia si era
conclusa vittoriosamente: la
funzione delle magnanime idee e
delle azioni eroiche si era
esaurita e tramontata poteva
considerarsi la loro stagione.
Nuovi problemi si affacciavano,
però, all’orizzonte della
storia. L’aver affermato i
principi di libertà politica e
di giustizia sociale non
equivaleva certamente all’aver
messo “tutti” nella condizione
di goderne: affermare che le
leggi dello Stato sono identiche
per tutti i cittadini, a
qualsiasi ceto o classe
appartengano, e che tutti sono
uguali di fronte alla giustizia
è certamente una grande
conquista di civiltà nei
confronti del passato in cui
c’erano leggi diverse per i
nobili e per il cosiddetto
“terzo stato”, per i ricchi e
per i poveri; ma questa
affermazione di principio non
bastava a tutelare di fatto gli
interessi e la dignità del
povero bracciante disoccupato,
con dieci bocche da sfamare, nei
rapporti col ricco proprietario
terriero abituato da sempre a
sfruttare l’indigenza dei
lavoratori, né valeva a dar
ragione, nelle controversie
giudiziarie, all’analfabeta che
avesse sottoscritto un contratto
capestro senza rendersene conto.
Perché i benefici della grande
rivoluzione avessero adeguata
rispondenza nella vita concreta
dei cittadini, era necessario
procedere urgentemente ad una
bonifica “culturale” delle masse
popolari, specialmente di quelle
del sud. Il campo d’azione della
“grande rivoluzione” si spostava
dalle zone aeree delle “idee” al
terreno dei bisogni concreti
delle masse, dalle alte sfere
dei princìpi universali alle
istanze contingenti del vivere
quotidiano: il processo storico
imponeva un rapido cambiamento
di rotta alla “sovrastruttura”
culturale e richiedeva con
urgenza una nuova mentalità: una
mentalità che rinunziasse
temporaneamente alle grandi
visioni storiche e filosofiche e
si attrezzasse invece a
considerare con umiltà le
necessità minute dell’umanità
contemporanea. Fu così che, in
campo filosofico, all’idealismo
della prima metà dell’Ottocento
si sostituì il positivismo e, in
campo letterario, al
romanticismo si sostituì il
realismo.
Questo nuovo orientamento, che
ebbe una notevole spinta dalle
teorie evoluzionistiche degli
inglesi Carlo Darwin (1809-1882)
ed Erberto Spencer (1820-1903),
si affermò principalmente in
Francia, ove il filosofo Augusto
Comte (1798-1857) elaborò la
dottrina del “positivismo”, che
ebbe larga diffusione in tutto
il mondo durante tutta la
seconda metà dell’Ottocento.
Il Comte afferma che ogni
conoscenza non può prescindere
dai dati dell’esperienza
analizzati secondo il metodo
sperimentale proprio delle
scienze: col termine “positivo”
egli vuole indicare il campo
d’indagine della ragione, che è
la “realtà effettuale” in cui
vive l’umanità in un determinato
periodo storico, il metodo da
seguire nell’indagine, che è
quello sperimentale, ed infine
l’obiettivo da perseguire, che è
l’utilità pratica ed effettiva
la cui efficacia deve farsi
sentire nella morale e nella
politica, come nell’economia e
nella vita sociale.
L’ideologia positivista
influenzò ovviamente anche il
campo della letteratura, nel
quale si affermò in tutta Europa
il “realismo”.
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