|
IL REALISMO
 |
 |
 |
 |
LA POESIA
Anche la
poesia diede il suo tributo alle
ansie ed alle aspirazioni del
movimento realistico,
accostandosi con maggiore
cordialità ai sentimenti più
genuini del popolo e con
maggiore serietà agli aspetti
più comuni ed elementari della
vita quotidiana, ma anche
mostrandosi attenta ai problemi
sociali post-unitari, senza
trascurare quelli della
emergente classe proletaria.
I poeti, però, se da un lato
condivisero l'atteggiamento di
fondo dei prosatori veristi,
dall’altro non seppero come
questi aderire intimamente al
mondo degli “umili” e spesso
risolsero il loro impegno nella
polemica letteraria anti
romantica (con la riesumazione
dello spirito e delle forme
della poesia classica) e
nell’affermazione della
necessità di un generico
rilancio della moralità
nazionale (in ciò denunciando i
limiti borghesi della loro
mentalità).
D’altronde uno dei più
significativi poeti di questa
età, Vittorio Betteloni
(1840-1910), autore di varie
raccolte di versi (“In
primavera”, “Nuovi versi”,
“Crisantemi”, ecc.), confessò
liberamente: «Il mio verismo lo
imparai fin da ragazzo sui
classici».
Più sensibile ai problemi del
proletariato urbano e rurale è
Olindo Guerrini (1845-1916),
aspramente polemico contro la
politica coloniale del Governo
italiano, che egli ritiene
faccia gli interessi dei soli
capitalisti con grave danno
delle masse popolari, che vedono
i propri figli andare a morire
in terra africana. Eccone un
esempio tratto dalla lirica
“Affrica. Mentre partono”:
|
Lascia, scarno villan,
lascia il sudato
solco a te non diviso!
Tu non devi morir dove
sei nato,
dove amor t'ha sorriso.
La gentil civiltà de'
tuoi signori
ti spinge alla
battaglia.
Va, povero villano,
uccidi e muori.
Dopo avrai la medaglia,
e mentre i legulei ti
lauderanno
con sonanti parole,
oh, come l'ossa tue
biancheggeranno
gloriosamente al sole!
Sulla sabbia deserta e
funerale
rotoleranno al vento,
ma in qualche trivio
della Capitale
sorgerà un monumento,
su cui tra i bronzi
falsi e le sculture
dell'arte a buon mercato
sarà il tuo nome, o buon
villan, se pure
non l'han dimenticato.
Piange intanto colei che
la tua culla
vegliò amorosa e forte,
piange le tristi nozze
una fanciulla,
le nozze con la morte,
ma il padre invece, al
ciel rivolto il ciglio,
giunte le palme grame,
dice: -Beato te, povero
figlio,
che non avrai più fame! |
|
A questo punto ci sembra
opportuno suggerire al giovane
lettore di rileggere una delle
poesie patriottiche del primo
romanticismo, così da capire più
chiaramente ed in modo più
intuitivo la diversità del clima
spirituale tra la prima e la
seconda metà del secolo.
Le liriche del Guerrini vanno
col titolo di “Rime di Lorenzo
Stecchetti”.
Rientrano per vari aspetti in
questa categoria di poeti
realisti Giacomo Zanella
(1820-1888), che così definisce
l’impegno del poeta del suo
tempo: «Cerchi di riaccendere
sull'altare le fiamme sopite;
canti Dio e l’umanità; canti il
passato e l'avvenire delle
Nazioni; l’uomo politico, che
muore innanzi tempo fra le cure
dello Stato per creare l’unità e
l'indipendenza di un secolo...;
come nei secoli antichi, egli
tornerà sacerdote e profeta
delle giovani stirpi che entrano
a rinnovare gli avanzi di una
razza corrotta; e l’umanità,
rifatta di fede, di energia e di
entusiasmo, gli porrà monumenti,
come al massimo dei suoi
benefattori»: sembra di
ascoltare le tesi del programma
carducciano, di cui parleremo
tra poco; Mario Rapisardi
(1844-1912), il più accanito
anticattolico del tempo; Arturo
Graf (1848-1913), che nutrì un
cupo pessimismo di stampo
leopardiano, riscattato solo
verso la fine della vita grazie
alla ritrovata fede religiosa.
|
|
|
| |
 |
 |
 |
 | |