Letteratura italiana: Analisi del Novecento

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Parliamo di

  Opere di Vitaliano Brancati
Analisi opere
 1 Il bell'Antonio
2 Diario romano
3 Paolo il caldo
4 Il vecchio con gli stivali
5 Don Giovanni in Sicilia

 


Don Giovanni in Sicilia
 

Romanzo di Vitaliano Brancati pubblicato a Milano nel 1942. È l'opera che rivelò l'Autore, il quale peraltro aveva già pubblicato Gli anni perduti, un romanzo d'ambiente provinciale con ambizioni allusive e simbolistiche, e qualche altro libro poi rifiutato. Nell'edizione del 1941 il volume conteneva, oltre appunto il romanzo breve che gli dà il titolo, alcuni racconti (Il vecchio con gli stivali), tra i quali "Il bacio" e "Nemici", dichiara ispirazione antifascista (il primo è particolarmente felice), e "Rumori", dove meglio si riconoscono gli influssi che Gogol'esercitò sull'arte di Brancati e dove la descrizione d'un interno familiare mette in piena luce quel gusto del grottesco e del comico incisivo e pregnante nel quale doveva consistere la misura migliore dello scrittore catanese. Anche il Don Giovanni in Sicilia punta tutto sul grottesco, il grottesco degli amori sognati o inibiti, e comunque vissuti nell'immaginazione dei giovani e meno giovani "maschi" siciliani, e soprattutto di Giovanni Percolla, un timido quarantenne che dopo il matrimonio si trasferisce a Milano, iniziandosi a un'esperienza amorosa e sessuale ben diversa da quella vissuta a Catania, "ove i discorsi sulle donne davano un maggior piacere che le donne stesse". Se infatti il gallismo è il tema centrale di questo romanzo, come poi lo sarà di tanta parte della produzione di B., bisogna poi subito aggiungere, come ha detto assai felicemente Leonardo Sciascia (in Pirandello e la Sicilia, Caltanissetta, 1961), che "il gallismo siciliano di cui Brancati dà rappresentazione nella sua opera, è in effetti un vedersi e un sentirsi vivere erotico", e che "nel modo di essere siciliano c'è il senso penoso, acre e inadatto dell'adolescenza, qualcosa di acerbo, di immaturo, di impedito". E in realtà i Don Giovanni brancatiani sono tutti, nella loro vera sostanza, degli eroi dei sogni rientrati, hanno alle radici una sorta d'innocente dissidio romantico tra realtà e immaginazione, dove l'immaginazione è la donna idoleggiata da lontano e fatta culto ossessivo, e la realtà è la donna conquistata e posseduta. Sogno e immaginazione è anche la mediterranea Catania, descritta in slarghi paesistici d'uno splendore invidiabile, dove la donna è mito e aspettativa sempre rinviata ad altro tempo, e realtà è la fredda e nebbiosa Milano, in cui le donne, troppo facili ad aversi, scadono così a creature di carne, non "scontrose e inafferrabili", secondo l'idea che Giovanni Percolla ne aveva a Catania, ma "stupide, fameliche, insistenti, asfissianti". Per cui, dopo il tanto parlare che s'è fatto del tema brancatiano del gallismo, una sola cosa non s'è veramente notata: la riduzione ironico-affettiva che ne opera il primo Brancati Perché il famoso gallismo siciliano, quale egli lo pone nel contesto del Don Giovanni, non è altro che sensualità fantasticata anziché vissuta, è un'ossessione a suo modo sentimentale, e tutt'al più l'ipostasi smaniosa d'una sorta d'inibizione già pronta a trasferirsi dal piano psicologico della timidezza di Giovanni Percolla a quello fisiologico dell'impotenza del protagonista di Il bell'Antonio. Cosi, in un sentimentalismo di fondo camuffato di sensualità (e l'ironia e la comicità derivano proprio da tale contrasto), Brancati fissa nelle sue pagine l'umanità dei suoi Don Giovanni: senza pretendere, con ciò, di darci la storia, ma solo la favola della sua provincia, una mitologia del costume siciliano fuori del tempo e fuori della storia. Entro questi confini, fresca e tagliente com'è, tutta serrata, nel giro d'una prosa di rara felicità e icasticità, la sua operetta appare pienamente compiuta.
Mario Pomilio

 

Luigi De Bellis