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Delitto
all'isola delle capre |
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Dramma in tre atti scritto nel 1948 e
rappresentato per la prima volta a Roma nel 1950. In una
casa in rovina, circondata da una brughiera, vivono tre
donne sole: Agata, la figlia Silvia e la cognata Pia.
Intorno è la campagna bruciata dal vento e resa arida
dalle capre che divorano tutto. Agata, e il marito erano
arrivati qui, abbandonando la città e i suoi compromessi,
con il desiderio di prendersi una rivincita contro il
mondo, e di stare soli con le loro idee, la loro tenerezza
e la loro sincerità. Illusione: "La giornata sempre
uguale, la mancanza di diversivi. Forse anche i
sentimenti, sempre soli con se stessi, si stancano. Si
consumano, restano vuoti". E così un giorno il marito di
Agata è fuggito, senza dare più notizie di sé. A rompere
ora questa solitudine ecco sopraggiungere Angelo: uno
strano individuo, sfacciato, remissivo, furbo. Egli sa
delle tre donne, ma soprattutto di Agata: attraverso le
descrizioni del marito di lei, con il quale, come
prigioniero di guerra, ha passato lungo tempo tra i
reticolati, ha sorpreso "tutta" Agata, anche nei suoi
pensieri più nascosti e nelle sue intimità. La presenza di
quest'uomo scuote le tre donne che la snervante solitudine
e l'affocata atmosfera avevano inchiodato in una attesa
senza speranza. A una a una esse cadono in dominio del
forestiero. Fino a quando, dopo l'inevitabile alternarsi
di gelosie e rassegnazioni, la tragedia esplode nel modo
più impensato. Mentre Angelo scende in un pozzo, la scala
gli scivola; le donne potrebbero salvarlo gettandogli una
corda, ma dapprima esitano, poi assistono agli sforzi
disperati di lui, infine alla sua agonia. E quando Pia e
Silvia si allontanano, Agata rimane ferma, come
impietrita; ormai egli è tutto suo: "Ora siamo noi due, e
tutto è semplice. Tu non potrai certo andartene, e nemmeno
io. Seguiteremo a chiamarci e a lottare per tutta
l'eternità". È una specie di tragica veglia funebre al suo
uomo e a se stessa. Pervaso da un erotismo sfrenato, il
dramma si distingue per la linearità del soggetto: quasi
un semplice fatto di cronaca; e per la mancanza di
qualsiasi sottofondo ideologico: misteriosa o chiara,
l'istanza di redenzione che è avvertibile negli altri
lavori bettiani qui è assente. Si ebbe motivo, anche per
questo, di parlare d'un ritorno al senso della tragedia
primordiale, a un teatro che investe zone elementari della
nostra umanità. E, su questa strada, si ritenne di situare
questa "Isola delle capre" in un'Italia dove persistono
profonde tradizioni precristiane. Le creature umane del
dramma si aggirano, infatti, in un recinto senza vie
d'uscite; attorte e straziate sotto il peso di una vita
atroce, desolata, percorsa da febbrili sforzi per una
riscossa dell'istinto.
Alfredo Barbina
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