Le opere di Ugo Betti

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Parliamo di

  Ugo Betti
Analisi opere
 1 L'aiuola bruciata 
2 Canzonette - La morte
3 Le case
4 Corruzione al palazzo di giustizia
5 Delitto all'isola delle capre
6 Il diluvio
7 Frana allo scalo nord
8 Il re pensieroso
9 La regina e gli insorti

 


Il diluvio
 

Farsa in tre atti del commediografo Ugo Betti, scritta nel 1931 e rappresentata per la prima volta a Roma nel 1943. Il professore di computisteria Arcibaldo Mattia, se vuole procurarsi i mezzi per pubblicare il suo scritto rivoluzionario "Il diluvio", deve prestarsi a un gioco che metterà a repentaglio la sua vita di piccolo borghese, già pieno di guai. Fatma, cugina di sua moglie, e la madre Leonia devono ricevere un milionario, Lindoro Polten-Bemoll, che hanno conosciuto al mare, ma, non avendo a disposizione una casa degna e un uomo che, come padre e marito, possa dare tutte le garanzie di rispettabilità si rivolgono al cugino Arcibaldo, il quale potrà contribuire a far si che la simpatia mostrata dal milionario per Fatma si tramuti in un legame più concreto. Giunge così Lindoro seguito da una schiera di creditori di Arcibaldo. S'organizza una specie di pranzo metafisico; pranzo prestato dal trattore a condizione che solo il milionario mangi. Intanto le attenzioni di Lindoro, fra la soddisfazione dei creditori, si rivolgono a Clelia, la bella moglie di Arcibaldo; i due anzi finiscono per trovarsi soli in una camera che l'ignaro marito fa chiudere a chiave. E quand'egli, accortosene, si dispera, i creditori gongolano, certi che si tratti di una commedia inscenata per coprire il mercato. Il professore rimane il triste bersaglio di tutti: dei creditori che temono che nella camera non sia successo nulla; della moglie che gli rimprovera la sua dappocaggine: persino di Lindoro che lo accusa dello scambio a cui s'è prestato. Di fronte alla moglie inferocita che confessa la sua colpa, Arcibaldo, trovata per caso una pistola, cerca di sparare senza accorgersi di avere in mano un giocattolo. Sopraffatto dal ridicolo, scoppia in una scena veemente e denuncia il crollo d'ogni ideale ("Dove sono i princìpi? Le parole ci sono, ma il guaio è che non ci sono più le cose! Non c'è un chiodo che tenga"); ma un colpo parte verso il soffitto dalla pistola che intanto era stata sostituita. Tutti fuggono e Arcibaldo cade al suolo. "L'avete scampata bella", gli dice il segretario. "Muoio ugualmente, signore. Il mio cuore è debole. Credo che possiate andare a ordinarmi le esequie". E muore. Fanno dunque le spese di questo grottesco la piccola borghesia, velleitaria e compassionevole nel desiderio di evadere dal suo destino, e la retorica dei grandi principi che "hanno perso la colla" affondando in una realtà incapace di sostenerli validamente. Un contenuto, quindi, tutt'altro che allegro che l'andamento burattinesco e paradossale (entrano spunti alla René Clair e la presa in giro di motivi ibseniani e di molto teatro moderno) non riesce a trasfigurare del tutto in gioco e movimento fantastico. 
Alfredo Barbina
 

 

Luigi De Bellis