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Corrado
Alvaro |
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Nato
nel 1895 a San Luca (Reggio Calabria), Corrado Alvaro
studiò in un collegio dei gesuiti, partecipò alla prima
guerra mondiale come ufficiale di fanteria (e rimase
ferito alle braccia), si laureò nel 1920 e si dedicò al
giornalismo (lavorando al «Corriere della Sera» e al
«Mondo» di Amendola fino alla sua soppressione nel 1926) e
alla letteratura. Dopo le sue prime prove narrative (La
siepe e l'orto, 1920; L'uomo nel labirinto, 1926) si
trasferì a Berlino, perché costretto dal regime ad
abbandonare il giornalismo. Ritornato a Roma, dove poi è
sempre vissuto, agli inizi degli Anni Trenta, continuò in
un difficile rapporto col regime a svolgere la sua
attività letteraria: fu redattore della rivista «900» di
Bontempelli, pubblicò nel 1930 Gente in Aspromonte che gli
diede ampia notorietà, nel 1935 I maestri del diluvio.
Viaggio nell'Unione Sovietica, nel 1938 il romanzo L'uomo
è forte.
Dopo il 1945 fu vicino - ma con discrezione ed equilibrio
- all'area politico-culturale della sinistra e intanto
lavorava alla realizzazione della trilogìa Memorie del
mondo sommerso, composta da L'età breve (1946) e dai
postumi Mastrangelina (1960) e Tutto è accaduto (1961).
Morì a Roma nel 1956.
Corrado Alvaro è una delle personalità più interessanti
della prima metà del Novecento e la sua produzione
narrativa meriterebbe di essere "riscoperta" e tratta da
quell'oblio (o quasi) nel quale negli ultimi decenni è
stata relegata.
Va anzitutto precisato che con la cultura straniera e con
le importanti esperienze narrative che maturavano negli
anni Venti Alvaro ebbe notevole dimestichezza, grazie al
suo lavoro, prima, di collaboratore al «Mondo» di Giovanni
Amendola e, dopo, sino alla metà degli anni Trenta, di
inviato del «Corriere della Sera» e de « La Stampa»
soprattutto in Germania e nell'URSS. Sono da ricordare
anche, in questo senso, i suoi rapporti con un
intellettuale di interessi europei come G.A. Borgese e la
collaborazione a « 900» di Bontempelli, che si batté
contro l'autarchia culturale. Dopo le Poesie grigio verdi
(1917) ispirate all'esperienza della prima guerra
mondiale, Alvaro pubblica nel 1926 il romanzo L'uomo nel
labirinto, interessante, anche nei suoi esiti non sempre
felici, perché l'autore adotta soluzioni narrative e
sperimentazioni linguistiche che si rifanno alle
contemporanee suggestioni europee (Joyce innanzitutto) e
perché affronta un tema - la babelica civiltà moderna con
le sue conseguenze sull'interiorità dell'individuo - che
costituirà una delle costanti della meditazione e della
produzione di questo scrittore. Il tema infatti verrà
ripreso oltre che in pagine diaristiche, in saggi, in
"riflessioni di viaggio" (I maestri del diluvio. Viaggio
nell'Unione sovietica, 1935), nel romanzo L'uomo è forte
(1938 e, con rifacimenti, 1946) dove il dramma dell'uomo
contemporaneo «è ambientato nella società di un intero
paese, che dovrebbe essere la Russia, ma può essere anche
l'Italia, e potrebbe essere, vittorinianamente, qualsiasi
paese dell'Uomo» (Petronio). Nella produzione di Alvaro
con questo tema coesiste, ad esso tuttavia opponendosi, la
rappresentazione del mondo delle origini e dell'infanzia
(la Calabria), che si realizza in opere quali Gente in
Aspromonte (1930), in molti dei racconti (una scelta è nei
Settantacinque racconti; 1959) e nella trilogia Memorie
del mondo sommerso, composta da L'età breve (1946) e dai
postumi Mastrangelina (1960) e Tutto è accaduto (1961).
Nella trilogia (ma soprattutto nel primo volume,
pubblicato vivente l'autore) la componente in senso lato
autobiografica si snoda in pagine che rievocando episodi e
ambienti danno il senso, il clima di una civiltà, remota e
pur perenne nella coscienza del narratore.
Non va dimenticata un'altra vocazione di Alvaro (Quasi una
vita, 1951; Ultimo diario, 1959): la sua capacità di
cogliere con brevi ritratti, riflessioni, "moralità"
appunto, i segni e il senso dei tempi.
È indiscutibile che nella pagina di Alvaro è presente la
realtà storica dei pastori di Calabria, dalle abitudini di
vita ai rapporti sociali, ma trasfigurata e, per così
dire, distanziata. La rappresentazione si colloca sin
dall'inizio in una dimensione tutt'altro che realistica: i
pastori coi loro corti mantelli fanno pensare alla
raffigurazione di «qualche dio greco pellegrino», il
sentiero scosceso richiama l'immagine di un «presepe», i
buoi evocano degli «animali preistorici», la pecora
arrostita sullo spiedo è «solenne come una vittima prima
del sacrifizio», la nostalgia dei pastori per le domeniche
trascorse in paese si snoda in un susseguirsi di
proposizioni collegate paratatticamente («e rispondono...
e i bambini... e i vecchi») che hanno la grandiosa
semplicità di una canzone di gesta e conferiscono al dato
reale un alone di arcana solennità.
Trasfigurante è anche il secondo brano (la conclusione del
racconto), nel quale la figura di Antonello alla macchia
assume quella dimensione favolosa che una lunga tradizione
meridionale assegna al fuorilegge, che «toglie ai ricchi e
dà ai poveri».
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