LA CACCIA COL FALCONE
Questo poemetto deriva dalla
tradizione toscana del Boccaccio
e del Sacchetti ed è il racconto
in ottave di una giornata
vissuta all'aria aperta. Lo
scherzo è episodico e il
realismo non è nei particolari,
ma nella concezione,
nell'insieme; perciò l'opera è
fusa e armonica, sebbene non di
grande ala e povera di lirismo.
Ci si leva nella limpida
frescura dell'alba, si parte fra
lieti clamori, si va cavalcando
veloci per la pianura, si
chiacchiera, si scherza, si
ride, si godono i vari casi
della caccia, or seri or comici.
Poi nella vampa del mezzodì si
torna alla fresca oscurità della
casa, ove si pranza e si beve
fra allegre vanterie, e si va
finalmente a riposare.
Null'altro: ma i personaggi e
gli episodi sono segnati con
mano sicura di narratore. In
Dionigi, il pigro cacciatore, il
cui ideale epicureo di vita è
mangiare e dormire, il poeta
coglie con finezza la naturale
accidia umana, superiore a ogni
tentazione di divertimenti:
vedilo avviarsi sonnacchioso,
pencolando, sino all'inevitabile
caduta, che ammacca liti e lo
sparviero, e riprendere
immusonito la strada,
rimuginando il suo pentimento e
la sua invidia per quelli
rimasti a letto. Altri ritratti
felici sono quelli del Corona,
cacciatore sfortunato, di Giovan
Simone, frequentatore d'osterie,
e di Luigi Pulci, impenitente
burlone, col suo spaventoso
nasaccio. La descrizione della
caccia è viva e mossa, e ben vi
si disegnano i caratteri delle
bestie e dei cacciatori,
soprattutto il canattiere
"tifoso", che sa prendere i cani
per il loro verso, con sferzate,
lusinghe, promesse, incitamenti,
e si esalta sportivamente per
loro, accompagnandoli con le sue
grida, la sua trepidazione, la
sua gioia, la sua ira;
naturalmente egli si stizzisce
per l'incapacità dei cacciatori,
quali Giovan Francesco,
distratto e sfortunato, che
getta il suo misero spaverugio
senza togliergli il cappuccio.
La baruffa fra due sparvieri ne
genera poi una fra i padroni: il
Foglia, credendo malconcio il
suo sparviero, svillaneggia
Guglielmo, che se la ride, salvo
a infuriarsi alla sua volta
quando si accorge che è avvenuto
il contrario. Una baruffa, come
le pulciane, colta dalla viva
bocca del popolo attaccabrighe
di Firenze.
Fatti frivoli e insignificanti,
ma raccontati con lepore e con
grazia in stanze sveltissime,
con tutt'i sali e le vivezze del
dialetto. (De Sanctis)