IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL QUATTROCENTO: LE OPERE DI LORENZO DE' MEDICI
LA CACCIA COL FALCONE

Questo poemetto deriva dalla tradizione toscana del Boccaccio e del Sacchetti ed è il racconto in ottave di una giornata vissuta all'aria aperta. Lo scherzo è episodico e il realismo non è nei particolari, ma nella concezione, nell'insieme; perciò l'opera è fusa e armonica, sebbene non di grande ala e povera di lirismo. Ci si leva nella limpida frescura dell'alba, si parte fra lieti clamori, si va cavalcando veloci per la pianura, si chiacchiera, si scherza, si ride, si godono i vari casi della caccia, or seri or comici. Poi nella vampa del mezzodì si torna alla fresca oscurità della casa, ove si pranza e si beve fra allegre vanterie, e si va finalmente a riposare. Null'altro: ma i personaggi e gli episodi sono segnati con mano sicura di narratore. In Dionigi, il pigro cacciatore, il cui ideale epicureo di vita è mangiare e dormire, il poeta coglie con finezza la naturale accidia umana, superiore a ogni tentazione di divertimenti: vedilo avviarsi sonnacchioso, pencolando, sino all'inevitabile caduta, che ammacca liti e lo sparviero, e riprendere immusonito la strada, rimuginando il suo pentimento e la sua invidia per quelli rimasti a letto. Altri ritratti felici sono quelli del Corona, cacciatore sfortunato, di Giovan Simone, frequentatore d'osterie, e di Luigi Pulci, impenitente burlone, col suo spaventoso nasaccio. La descrizione della caccia è viva e mossa, e ben vi si disegnano i caratteri delle bestie e dei cacciatori, soprattutto il canattiere "tifoso", che sa prendere i cani per il loro verso, con sferzate, lusinghe, promesse, incitamenti, e si esalta sportivamente per loro, accompagnandoli con le sue grida, la sua trepidazione, la sua gioia, la sua ira; naturalmente egli si stizzisce per l'incapacità dei cacciatori, quali Giovan Francesco, distratto e sfortunato, che getta il suo misero spaverugio senza togliergli il cappuccio. La baruffa fra due sparvieri ne genera poi una fra i padroni: il Foglia, credendo malconcio il suo sparviero, svillaneggia Guglielmo, che se la ride, salvo a infuriarsi alla sua volta quando si accorge che è avvenuto il contrario. Una baruffa, come le pulciane, colta dalla viva bocca del popolo attaccabrighe di Firenze.

Fatti frivoli e insignificanti, ma raccontati con lepore e con grazia in stanze sveltissime, con tutt'i sali e le vivezze del dialetto. (De Sanctis)

 

 

 

Edmondo Rho

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