IL CORINTO
Poemetto sull'amore di Corinto
pastore per la ninfa Galatea,
invocazione dell'innamorato alla
sua bella. L'idillio era stato
per Teocrito e per Virgilio il
sogno di una vita tenera e
dolce, fra incanti di bella
natura: poesia semplice di anime
semplici, rifatta da un
raffinatissimo artista. Tale è
anche per il nostro poeta:
Galatea e Corinto, se hanno
letterario il nome, in realtà
sono creature vive, balzate
fuori dalla campagna tosca, come
dalle rive dell'azzurro mar di
Sicilia i pastori teocritei.
Perciò le reminiscenze teocritee
e virgiliane Sono spontanee e il
poema, che ha il suo posto nella
storia della poesia pastorale,
prosegue il Ninfale fiesolano
del Boccaccio nel rifare
italiani i modelli classici,
mentre il Sannazaro li
stilizzerà letterariamente,
creando l'Arcadia. Il tono
sentimentale è quello di un puro
affetto giovanile; è evitato il
rilievo realistico e si cerca il
lirismo musicale, che rimane un
po'vago e indefinito. Nella
notte lunare la malinconica
serenata si snoda molle e
carezzevole nel suo candore,
finché il desiderio crea la
visione, contemplata con
voluttuosa beatitudine: la
figura bella, prima
inghirlandata nel ritmo della
danza, quindi languente sotto la
pioggia floreale. Del pari bene
individuato, se pure attraverso
la tradizione classica, è
Corinto, rozzo fanciullone; e
piace il piglio popolaresco di
alcune terzine, dove ritrovi già
la sanità della Nencia da
Barberino: le guance rosse e
pienotte delle ninfe han troppo
del rustico autentico per essere
classiche. Dal Corinto alla
Nencia è breve il passo: basterà
togliere le reminiscenze
letterarie perché il mitologico
Corinto diventi il toscano
Vallera e la ninfa Galatea si
muti nella contadinella di
Barberino.