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MANZONI: Tutto sui
"Promessi sposi" Riassunti
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Capitolo IX e X
Scesi dalla barca, i tre
fuggitivi vengono trasportati da
un barrocciaio che li accompagna
al convento dei cappuccini di
Monza, donde Renzo, dopo un
triste commiato, parte per
Milano. Il padre guardiano del
convento conduce le donne al
monastero, dove le raccomanda
alla «signora», una giovane
monaca di famiglia
aristocratica, dall'aspetto e
dal comportamento singolari, che
dopo averle interrogate
acconsente ad ospitarle.
Inizia a questo punto la lunga
digressione sulla «signora».
Gertrude, così si chiama la
monaca, è figlia di un principe
che, in ossequio all'istituto
giuridico del maggiorasco, aveva
destinato tutte le sue ricchezze
al primogenito e, quindi, tutti
gli altri figli al convento.
Gertrude, abituata fin dalla più
tenera infanzia all'idea di
divenire monaca, entra così nel
monastero come educanda all'età
di sei anni. Crescendo a
contatto con altre fanciulle si
manifestano però in lei
incertezze circa il suo destino
e, pur avendo scritto la lettera
di supplica al vicario che dovrà
esaminarla per stabilirne
l'autenticità della vocazione,
Gertrude, attratta dall'idea di
una vita diversa e del
matrimonio, scrive nascostamente
al padre per informarlo. La
lettera non riceve risposta,
mala badessa le parla della
«gran collera» del principe.
Quando Gertrude, quattordicenne
torna in famiglia per
trascorrervi il mese prescritto
dalle regole della monacazione,
ad un anno dall'invio della
supplica, viene trattata con
freddezza sia dai familiari che
dai servitori ed esclusa dalla
vita comune. Solo un paggio le
dimostra una «particolare
comprensione» alla quale
Gertrude corrisponde. Ma una
lettera compromettente a lui
indirizzata viene intercettata e
mostrata al padre che la fa
rinchiudere nella sua camera.
Dopo quattro o cinque giorni la
ragazza scrive al padre,
implorandone il perdono e
dichiarandosi disposta a tutto
per ottenerlo.
La storia di Gertrude continua
nel capitolo successivo.
Il principe padre dà per certo
che la richiesta di perdono
significhi accettare la
monacazione; a questa condizione
Gertrude viene riaccolta in
famiglia e trattata con
benevolenza. L'indomani la
ragazza (ancora in preda a
dubbi, incertezze e turbamenti,
tenuti a freno dal principe che
velatamente la ricatta,
ricordandole l'errore commesso
con il paggio) è accompagnata al
monastero per far domanda di
esservi ammessa come novizia.
Seguono la scelta della madrina
e, di lì a poco, il colloquio
con il vicario che, ingannato
dalla giovane, attesta
l'autenticità della vocazione.
Dopo gli ultimi giorni di
libertà, passati tra spettacoli
e divertimenti, ma con l'animo
in continua «fluttuazione»,
Gertrude è accettata in convento
e, al termine dei dodici mesi di
noviziato, è «monaca per
sempre». Il suo animo tuttavia
non si placa: il suo
comportamento nei confronti
delle consorelle e delle
educande è mutevole e
capriccioso. Accanto al convento
abita un giovane, «scellerato di
professione», che osa rivolgerle
la parola: la «sventurata
rispose». Inizia così una
relazione che porterà la monaca
fino al delitto: con Egidio
uccide infatti una conversa che
ha minacciato di rivelare la
tresca. Dal misfatto, rimasto
per ora sconosciuto, è passato
circa un anno, quando Lucia
viene accolta nel monastero.
Il capitolo nono costituisce,
con il decimo, la più ampia
digressione del romanzo,
dedicata a tratteggiare la
figura e la vicenda della monaca
di Monza. Ampia, eppur
drasticamente ridotta rispetto
alla narrazione del Fermo e
Lucia per motivi di ordine
strutturale (evitare un romanzo
nel romanzo); ideologico (per
l'eccessivo spazio concesso ad
un personaggio di alto lignaggio
in un romanzo che ambiva ad
essere storia di «gente
meccaniche») e moralístico (lo
scrupolo di aver narrato una
fosca storia di amore e morte
ambientata in un convento).
Dopo una parte introduttiva,
dedicata a rappresentare in toni
dimessi la separazione dei
promessi che si incontreranno
nuovamente solo alla fine del
romanzo (cap. XXXVI), viene
delineata la suggestiva figura
di Gertrude, tutta giocata su
toni di bianco e nero. Gertrude
è un personaggio storico: i
«fatti» di Virginia de Leyva
sono minuziosamente documentati
negli archivi dell'Arcivescovado
milanese. Il Manzoni vi aggiunge
ciò che una fanciulla monacata a
forza può aver «sentito e
pensato» e racconta così la
storia di un'educazione
sbagliata che trova fertile
terreno in un'indole arrogante e
imperiosa, contraddistinta da
«vanità naturale», ed impedisce
la formazione di una volontà. Il
peccato di Gertrude, da cui
deriveranno tutti gli altri,
sarà di pronunciare dei «sì»,
quando vorrebbe e dovrebbe
rifiutare, e vivere in maniera
non conseguente a questi «sì»:
un peccato dunque della volontà.
E tuttavia il cristiano Manzoni
non nega la sua pietà:
l'«infelice», la «sventurata» è
ancora alla ricerca di «un po'
d'amore», capace di provare «un
certo sollievo nel far del bene
a una creatura innocente», «nel
soccorrere e consolare
oppressi». «A questa fo del
bene», penserà nel capitolo
XVIII e sarà un «soave»
pensiero. Del resto, anche il
principe-padre - e certo nei
confronti dei padri il Manzoni è
particolarmente severo (si pensi
al mercante del capitolo IV) - è
capace di «una tenerezza in gran
parte sincera», perché «così
fatto è questo guazzabuglio del
cuore umano».
Echeggia in queste pagine una
vasta gamma di temi della
polemica illuminista: contro
l'istituto del maggiorasco, la
nobiltà parassitaria, le
monacazioni forzate, a favore di
una educazione non autoritaria.
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