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MANZONI: Tutto sui
"Promessi sposi" Riassunti
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Capitolo XXV
Il capitolo è contrassegnato da
un ritmo assai movimentato fin
quasi alla fine, quando si apre
il dialogo, destinato a
concludersi nel capitolo
successivo, tra il cardinale e
don Abbondio. La notizia dello
straordinario avvenimento arriva
subito al paese di Lucia: don
Rodrigo, «fulminato da quella
notizia così impensata» e
soprattutto timoroso della
visita del cardinale, parte per
Milano, «come Catilina da Roma»
(si osservi, nuovamente, l'uso
ironico del paragone con un
grande personaggio storico).
Arriva in visita pastorale il
cardinale, accolto festosamente
da tutto il paese, com'era
sempre accaduto, da quando era
diventato arcivescovo.
Lucia e Agnese, ospiti del
sarto, sono state nel frattempo
invitate per una visita da donna
Prassede, una vecchia
gentildonna milanese «molto
inclinata a far del bene», che
ha offerto a Lucia di rimanere
ospite in casa sua, protetta e
al sicuro. Le due donne hanno
accettato. Donna Prassede fa
scrivere per questo al cardinale
dal rnarito, il «letterato» don
Ferrante.
Il Manzoni traccia, a questo
proposito, le prime linee del
ritratto della «coppia d'alto
affare», compiuto nel capitolo
ventisettesimo, uno dei più
vivaci e, per quanto attiene in
particolare alla figura
femminile, feroci del romanzo.
Agnese e Lucia tornano
trionfalmente al paese: ricevute
dal cardinale gli mostrano la
lettera e questi dà il suo
assenso. Chiama quindi don
Abbondio e gli chiede ragione
del fatto di non aver celebrato
il matrimonio. Don Abbondio,
dopo aver tentato di
tergiversare, racconta per
esteso l'accaduto, dice di aver
agito così perché minacciato di
morte e rimane sostanzialmente
sordo alle parole del cardinale
che gli ricorda che il primo
compito della missione pastorale
è di amare il proprio gregge.
Capitolo XXVI
Prosegue e si conclude il
colloquio tra don Abbondio e il
cardinale che lo rimprovera di
aver fatto ricorso al pretesto
dei superiori per rinviare la
cerimonia, di non aver invece
pensato a chiedere la sua
protezione contro il prepotente
che si è fatto forza della sua
paura («- I pareri di Perpetua!
- pensava stizzosamente don
Abbondio»).
Ma è un colloquio tra
interlocutori destinati a non
comprendersi: da una parte il
cardinale, implacabile censore
anche di se stesso, le cui
parole - di tono sostenuto con
frequenti richiami biblici -
scaturiscono dall'idea di un
dovere che non può mai essere
eluso; dall'altra don Abbondio,
le cui intime convinzioni sono
espresse solo tra sé e sé, con
le consuete espressioni
popolaresche e volgari, mentre
le risposte al cardinale suonano
tortuose ed evasive.
Eppure, alla fine, anche don
Abbondio risulta commosso dalle
parole di carità («Era, se ci si
lascia passare questo paragone,
come lo stoppino umido e
ammaccato d'una candela, che
presentato alla fiamma d'una
gran torcia, da principio fuma,
schizza, scoppietta, non ne vuol
sapere nulla; ma alla fine
s'accende e, bene o male,
brucia») e promette di cambiare
atteggiamento.
La mattina seguende donna
Prassede viene a prendere Lucia.
L'innominato fa recapitare ad
Agnese, tramite il cardinale,
cento scudi per la dote della
ragazza.
Agnese si precipita da Lucia per
comunicarle l'inattesa fortuna:
con quei soldi potranno
raggiungere Renzo, appena
avranno sue notizie. Lucia però
le rivela il voto e la prega
quindi di mandare la metà della
somma «a quel poverino», con la
notizia del voto e la
raccomandazione di mettersi il
cuore in pace. Agnese,
«stupefatta e
costernata», acconsente. Si
salutano tristemente,
ripromettendosi di rivedersi
l'autunno seguente.
Da Renzo non giungono notizie:
il governatore spagnolo l'ha
fatto ricercare per via
ufficiale, ma il governo
veneziano ha interesse a
trattenere i filatori di seta,
pertanto le ricerche sono state
molto superficiali, tali
comunque da mettere sull'avviso
Bortolo che l'ha sistemato in un
altro paese, sotto il nome di
Antonio Rivolta, simulandone con
tutti, quindi anche con gli
inviati del cardinale, la
scomparsa a sua insaputa.
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