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MANZONI: Tutto sui
"Promessi sposi" Riassunti
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Capitolo XIX
I capitoli XXIX e XXX
costituiscono un rapido
intermezzo di toni
comico-patetici tra i capitoli
"storici" della carestia (XXVIII)
e della peste (XXXI e XXXII).
Protagonista don Abbondio, come
sempre pauroso, stizzoso e
impacciato, con Perpetua e
Agnese: tra gli abitanti dei
paesi terrorizzati dalle notizie
della calata dell'esercito
imperiale, troviamo i tre che,
nascosti alla meglio i loro
averi, decidono (ma solo le
donne sono davvero in grado di
decidere) di cercar rifugio nel
castello dell'innominato.
Durante la fuga si fermano a
casa del sarto, dove vengono
accolti «a braccia aperte e
veduti con grande piacere:
rammentavano una buona azione.
Fate del bene a quanti più
potete, dice qui il nostro
autore; e vi seguirà tanto più
spesso d'incontrar de' visi che
vi mettano allegria».
L'innominato che, dopo la
conversione, ha cambiato vita,
ma è rimasto un capo rispettato,
ha organizzato il castello in
modo da poter resistere ad
eventuali scorrerie sia
dell'esercito imperiale che dei
«cappelletti» veneziani.
Capitolo XX
Don Abbondio, Perpetua e Agnese
trovano generosa ospitalità nel
castello dell'Innominato per
ventitré o ventiquattro giorni,
insieme a molti altri abitanti
dei paesi vicini. L'innominato
compie con i suoi armati sortite
nella valle per tener lontani i
soldati. La vita nel castello è
organizzata in modo efficiente,
ma don Abbondio passa i giorni
in compagnia della paura.
Quando, ultimi, i tre se ne
vanno, l'innominato dona altri
scudi ad Agnese.
Durante il viaggio di ritorno
vedono i terribili guasti
provocati dal saccheggio dei
soldati nelle case e nei campi.
Trovano le loro case sporche,
saccheggiate, semidistrutte;
anche il «tesoretto», sepolto da
Perpetua nell'orto, è stato
portato via. Peraltro Perpetua
scoprirà che i furti in casa del
curato non sono imputabili
solamente ai soldati di
passaggio, ma anche ai
compaesani che rivelano così,
dopo la viltà e la tendenza al
pettegolezzo, un altro difetto.
«Né però questi terrori erano
ancora cessati, che un nuovo ne
sopraggiunse».
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