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MANZONI: Tutto sui
"Promessi sposi" Riassunti
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Capitolo XXI
La vecchia accoglie Lucia alla
Malanotte e l'accompagna al
castello. Il Nibbio le precede
e, nella sua relazione
all'innominato, gli confessa di
aver provato «compassione» per
la ragazza. La curiosità,
accentuata da questo sentimento
inatteso nel Nibbio, spinge il
signore a vedere Lucia. Il
colloquio, durante il quale
Lucia lo supplica di usarle
misericorda, perché «Dio perdona
tante cose, per un'opera di
misericordia!», turba ancor più
l'innominato che si allontana,
dopo averle fatta una generica
promessa per la mattina
successiva e aver nuovamente
raccomandato alla vecchia di
farle coraggio.
Questa obbedisce come sa: la
invita a mangiare e a mettersi
comoda, ma le sue parole e i
suoi atti testimoniano solo la
sua indole e i suoi vizi
(invidia, gola, pigrizia),
mangia e si addormenta.
Dopo questo attacco mosso il
capitolo, uno dei più famosi del
romanzo, soprattutto per certe
affermazioni che riassumono, pur
semplificando, il grande tema
cristiano del perdono, si svolge
nella notte: la notte del voto
di Lucia e la «notte
dell'innominato». Notti entrambe
di angoscia, ma la prima è
confortata, dopo un
attimo di smarrimento («fu vinta
da un tale affanno, che desiderò
di morire») dalla preghiera e
dalla fede.
Lucia, infatti, «immobile in un
cantuccio», in preda
all'incertezza e al terrore,
pronunciato il voto di verginità
alla Madonna se uscirà salva
dalla terribile situazione,
rincuorata si addormenta. La
seconda è tormentata dal rimorso
e dalla disperazione:
l'innominato, in preda
all'angoscia, perseguitato dai
ricordi del suo scellerato
passato e dalle immagini di un
avvenire privo di ogni
prospettiva, di ogni speranza,
prima e dopo la morte, pensa al
suicidio. Ma le parole di Lucia
gli risuonano nella mente e lo
inducono ad una «lontana
speranza». Quando sorge l'alba,
affacciandosi alla finestra,
vede nella valle, accompagnato
dal suono delle campane, un
festoso accorrere di persone
vestite a festa verso il paese:
«Guardava, guardava; e gli
cresceva in cuore una più che
curiosità di saper cosa mai
potesse comunicare un trasporto
uguale a tanta gente diversa».
Capitolo XXII
Il bravo, inviato ad informarsi,
torna con la notizia che la
gente accorre per la visita
pastorale del cardinale Federigo
Borromeo. L'innominato decide di
andare dal cardinale per
ascoltare le parole che questi
saprà trovare per parlare al suo
animo sconvolto.
Prima di uscire, va nella stanza
di Lucia, che sta dormendo, e
dice alla vecchia di riferirle,
quando si sveglierà, che, al suo
ritorno, farà «tutto quello che
lei vorrà».
L'innominato scende in paese
senza seguito, tra la meraviglia
del popolo e dei preti che
affollano la casa del curato,
dove si trova il cardinale. Qui
giunto, chiede di essere
ricevuto al cappellano crocifero
che va «a malincorpo» a fare
l'ambasciata.
Segue una lunga digressione, di
tono agiografico, sulla vita e
l'indole del cardinale. Cugino
del grande san Carlo, di nobile
e ricca famiglia, aveva
condotto, fin dall'infanzia, una
vita povera, rifiutando onori e
distinzioni dovute al rango.
Nominato arcivescovo continuò le
abitudini di parsimonia per
quanto riguardava il suo tenore
di vita, ma fondò la grande
Biblioteca Ambrosiana alla quale
affiancò un collegio di dottori.
Ritenne suo dovere fondamentale
l'elemosina e volle essere
vicino soprattutto ai poveri e
in particolare ai fanciulli. Si
oppose alle monacazioni forzate
e rifiutò di farsi eleggere
papa. Fu un uomo dotto (anche se
non evitò del tutto certi errori
del suo tempo), come
testimoniano le circa cento
opere scritte, sia in latino che
in italiano, tanto che l'autore
dichiara di meravigliarsi che
sotto questo aspetto non sia più
conosciuto.
Digressione di tono assai
diverso rispetto alle
precedenti, relative a padre
Cristoforo (cap. IV) e alla
monaca di Monza (capp. IX-X),
quelle tutte imperniate sulla
ricostruzione di una personalità
risultante da una dinamica
tempo-indole-educazione, questa
essenzialmente agiografica, per
cui il cardinale è un santo,
nonostante, si
potrebbe dire, i tempi (e
nonostante non sia sfuggito a
certi errori del tempo) e
l'educazione, impartita sì nel
collegio fondato dallo zio san
Carlo, ma in cui è presente il
pericolo della « svisceratezza
servile».
Un santo «illuminato», come
dimostrano la sua attenzione
all'igiene, ai libri, alla
divulgazione del sapere, la
battaglia contro le monacazioni
forzate; come non dìmostra,
potremmo obbiettare, la sua
credenza nelle streghe e negli
untori (vd. cap. XXXII), ma
questi, conclude ambìguamente il
Manzoni, erano «errori del
tempo»..
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