IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Riassunto Promessi sposi

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MANZONI: Tutto sui "Promessi sposi" Riassunti

Capitolo XI

Nella notte si presentano a don Rodrigo in ansia i bravi da lui inviati a rapire Lucia: la scommessa è ormai perduta e il conte Attilio, la mattina, non manca di rinfacciarglielo ma, convinto che ci sia di mezzo padre Cristoforo, gli promette anche aiuto per liberarsene, facendo ricorso al conte zio loro parente, membro del Consiglio segreto. Nel paese si intrecciano chiacchiere e supposizioni sulle vicende della notte: il Griso può presto riferire a don Rodrigo che Renzo e Lucia sono fuggiti e, in un secondo momento, che Lucia si trova a Monza e Renzo a Milano. Il Griso, seppure recalcitrante, per un mandato di cattura che gli pende sul capo, è inviato a Monza per informarsi.
Renzo intanto è diretto a Milano: entrando in città vede farina per terra, raccoglie tre pani, incontra uno strano gruppo di famiglia carico di farina e pane e si rende conto di essere arrivato in una «città sollevata». Non avendo trovato nel convento dei cappuccini di porta Orientale, il padre Bonaventura, al quale fra Cristoforo l'ha indirizzato, decide, nell'attesa, di andare a dare un'occhiata al tumulto.
Quasi a prendere il respiro tra la storia della monaca e la discesa agli inferi di Renzo a Milano, il Manzoni riserva questo capitolo, di importanza soprattutto strutturale, a tirare le fila dei personaggi. L'intento è esplicitamente dichiarato nella curiosa similitudine del «vispo fanciullo» che «si affanna a mandare al coperto un suo gregge di porcellini d'India».
Alcuni personaggi minori si definiscono con particolari già emersi o che li arricchiscono: la «brutta» passione di don Rodrigo per Lucia, che si manifesta nella gelosia («- Fuggiti insieme! - gridò») e l'ambiguo rapporto servo-padrone che lo lega al Griso (i rimproveri sono subito mitigati dalle lodi e dagli scudi); la viltà del Griso che teme di andare a Monza dove la sua livrea non lo proteggerebbe a sufficienza; l'atteggiamento canzonatorio del conte Attilio che tuttavia prende a cuore la vicenda per le malintese «idee che aveva d'amicizia e d'onore»; le ciarle dei paesani e soprattutto di Perpetua: «un così gran segreto stava nel cuore della povera donna, come, in una botte vecchia e mal cerchiata, un vino molto giovine, che grilla e gorgoglia e ribolle, e, se non manda il tappo per aria, gli geme all'intorno, e vien fuori in ischiuma, e trapela tra doga e doga, e gocciola di qua e di là, tanto che uno può assaggiarlo, e dire a un di presso che vino è».
Con la ressa dei personaggi la molteplicità dei luoghi: il palazzotto, il paese, Monza, Milano, contraddistinta, da lontano, dalla «gran macchina del duomo sola sul piano» che si contrappone, agli occhi di Renzo, povero montanaro all'inizio della sua epopea, alla familiare veduta del monte Resegone.



Capitolo XII

La prima parte del capitolo è dedicata ad una serrata disamina delle cause della carestia: alle raccolte scarse si aggiunge lo «sperperio della guerra», l'ordinaria cattiva amministrazione, la presunzione di poter rimediare imponendo al pane un prezzo (una «meta», un calmiere) che non tiene conto - secondo il liberista Manzoni - della ferrea legge della domanda e dell'offerta. Il provvedimento irragionevole e, come tale, non a lungo sostenibile, deve pertanto essere annullato: al momento dell'inevitabile rincaro del pane si scatena la sommossa. Ecco perché Renzo giunge in una città «sollevata», in un giorno (san Martino) in cui, come si è letto nel capitolo precedente, «le cappe si inchinavano ai farsetti».
Prima che l'attenzione si concentri su Renzo, è la folla protagonista del capitolo: la folla assale i garzoni dei fornai, poi i forni, in particolare il secolare «forno delle grucce», incurante, anzi quasi aizzata dalle parole del capitano di giustizia, che prova tutte le corde (il complimento, la minaccia) prima di essere colpito da una pietra «sulla protuberanza sinistra della profondità metafisica». La folla spreca, sciupa, distrugge; fa paura e ribrezzo; è «torrente» e «sciame» («formicolio», «ronzio»).
Persino l'ingenuo Renzo, capitato per caso in mezzo al tumulto, pensa tra sé che la «distruzion de' frulloni e delle madie, la devastazion de' forni, e lo scompiglio de' fornai, non sono i mezzi più spicci per far vivere il pane», ma crede ancora che si possa avere giustizia e poi prevale la curiosità.
Si muove così anche lui con l'«esercito tumultuoso» verso la casa del vicario di provvisione, considerato il principale responsabile della situazione «quello che protegge i fornai», perché, quando arriva come «salutevole» ma «inevitabile effetto» il rincaro «nasce sempre [...] un'opinion ne' molti, che non ne sia cagione la scarsezza. Si dimentica d'averla temuta, predetta; si suppone tutt'a un tratto che ci sia grano abbastanza, e che il male venga dal non vendersene abbastanza per il consumo».

 

© 2009 - Luigi De Bellis