IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Riassunto Promessi sposi

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MANZONI: Tutto sui "Promessi sposi" Riassunti

Capitolo XIII

Il capitolo è tutto ambientato davanti al palazzo dello «sventurato vicario», figura davvero meschina di fronte alla «grandine», al «tuono» della folla. All'inizio il «meschino» è «pallido, senza fiato», cerca «il più sicuro e riposto nascondiglio», sta «lì rannicchiato»; alla fine del capitolo, scende «mezzo strascicato», esce di casa «ancora rannicchiato» e viene condotto in salvo «ben rincantucciato» nel fondo della carrozza. Al suo confronto il vice governatore Ferrer, che giunge in carrozza a salvarlo, grandeggia: saluta benevolo la folla con le parole, i gesti, l'espressione del viso; passa disinvoltamente dall'italiano allo spagnolo; riverbera la sua luce perfino sul cocchiere Pedro che sorride e «con garbo ineffabile» dimena «adagio adagio la frusta».
Ferrer viene «a spender bene una popolarità mal acquistata», dato che è lui il primo responsabile della «tariffa così favorevole a' compratori», ma è a suo modo coraggioso per giungere «senza guardie, senza apparato [-] ad affrontare una moltitudine irritata e procellosa». Incanta così la folla che, pur continuando a comportarsi irrazionalmente, come durante l'assalto ai forni, vede a mano a mano predominare i partigiani della pace, perché «ne' tumulti popolari c'è sempre un certo numero d'uomini che, o per un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, o per un maledetto gusto del soqquadro, fanno di tutto per ispinger le cose al peggio [...]. Ma per contrappeso, c'è sempre anche un certo numero d'altri uomini che, con pari ardore e con insistenza pari s'adoprano per produr l'effetto contrario: taluni mossi da amicizia o da parzialità per le persone minacciate; altri senz'altro impulso che d'un pio e spontaneo orrore del sangue e de' fatti atroci. Il cielo li benedica... ».
Renzo si allea spontaneamente a questa parte, sia per inclinazione naturale (è «giovine posato», «giovane dabbene» «giovine quieto, fin troppo», «galantuomo» leggeremo a mano a mano di lui nel romanzo), sia per una sorta di riconoscenza personale: la grida «fatta apposta» per lui, mostratagli da Azzecca-garbugli (cap. III), era infatti firmata Ferrer («si rammentò del vidit Ferrer che il dottore gli aveva gridato all'orecchio, facendoglielo vedere in fondo di quella tale»). Con le «spinte e gomitate» di «giovane montanaro» è davvero di grande aiuto al vice governatore, tanto che in breve gli sembra «quasi d'aver fatto amicizia con Antonio Ferrer». Inizia così, con un eccesso di fiducia, la sua progressiva esaltazione destinata a sfociare nella perdita di controllo.



Capitolo XIV

È ormai giunta alla sera la tumultuosa giornata di S. Martino: «... il sole era andato sotto, le cose diventavan tutte d'un colore».
In piazza Renzo arringa la folla: il discorso è fitto di riferimenti ai suoi casi personali (i tiranni che «camminano con la testa più alta», le gride, i dottori, Ferrer) ma può avere valore universale, di «predica». L'uditorio è partecipe, anche se non mancano gli scettici e c'è anzi in giro chi aspetta il momento opportuno per mettere le mani su un «reo buon uomo». Quando Renzo chiede indicazioni per trovare un'osteria, si fa avanti premuroso un birro irriconoscibile perché "in borghese". La scena si sposta in un'osteria, l'osteria della «luna piena»: l'interno sembra tratto da un quadro fiammingo dell'epoca (mezza luce, carte, dadi, fiaschi, monete). L'oste, apparentemente indifferente, coglie al volo la situazione: «o cane o lepre» pensa del giovane, ma in breve capirà che di «lepre» si tratta. Renzo è ormai privo di freni: parla, citando perfino qualche parola che presume latina, ma rifiuta le sue generalità all'oste, ordina da mangiare, beve e beve. Senza accorgersene dà le sue generalità al birro, sedicente «Ambrogio Fusella spadaio» che, ottenuta l'informazione, si allontana. Renzo si muove sempre più scompostamente, continuando a bere. In breve diviene lo «zimbello della brigata»: solo il nome di Lucia non viene proferito e non diviene così «trastullo di quelle lingue sciagurate».

 

© 2009 - Luigi De Bellis