IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

Riassunto Promessi sposi

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MANZONI: Tutto sui "Promessi sposi" Riassunti

Capitolo XVII

Il capitolo si apre con un preciso ragguaglio storico sulla guerra di successione per il Ducato di Mantova e del Monferrato, in cui il Manzoni trova occasione per esprimere la sua totale condanna della guerra.

Inizia la corrispondenza tra Agnese e Renzo, molto faticosa perché entrambi non sanno né leggere né scrivere e quindi devono affidarsi a intermediari che pretendono, da «letterati» (contro di loro si appunta l'ironia manzoniana) di saperne più dei diretti interessati.

Al giovane sono inviati parte dei soldi secondo il volere di Lucia, assieme alla notizia del voto a cui egli dichiara di non volersi rassegnare.

Lucia, ormai a Milano in casa di donna Prassede, viene da questa tormentata perché dimentichi quel «poco di buono». Per fortuna donna Prassede deve «far del bene» a molte altre persone: l'unico che riesce a sottrarsi al suo dispotico potere è il marito «letterato» don Ferrante, tipico esponente della cultura secentesca, di cui è testimonianza la sua biblioteca ricca di oltre 300 volumi. È esperto infatti di astrologia; conosce la filosofia antica «quanto poteva bastare» ed è convinto seguace di Aristotele; si è dilettato di filosofia naturale; è profondo conoscitore di magia e stregoneria; ha convinzioni radicate nel campo della storia e della politica; è «addottrinato» soprattutto nella scienza cavalleresca.

Quale sia il giudizio del Manzoni su quella cultura, di cui don Ferrante è qualificato esponente, appare chiaro dal contesto; ad ogni buon conto l'autore ritenne opportuno ribadirlo impietosamente a conclusione del capitolo XXXVII, dopo aver dato conto dell'opinione di don Ferrante sulla peste e della sua morte, là dove, a proposito della sua raccolta di libri «considerabile», si chiede ironicamente: «E quella sua famosa libreria? È forse ancora dispersa su per i muriccioli».

La situazione rimane pressoché inalterata fino all'autunno 1629, quando un evento pubblico travolge tutti «come un turbine»: dopo la carestia, la discesa degli eserciti imperiali che porteranno la peste.



Capitolo XVIII

Questo capitolo, in cui non compare alcun personaggio d'invenzione, si riallaccia direttamente agli eventi storici narrati dall'undicesimo al sedicesimo.
Dopo il tumulto di san Martino ed un illusorio ed effimero periodo di abbondanza, la carestia è andata aumentando e il governo si conferma incapace di prendere opportuni provvedimenti.
Le citazioni dalle «gride», che si susseguono fitte, paradossalmente dimostrano l'inefficienza di un'amministrazione capace solo di minacciare pene a proprio arbitrio. Segue la «copia di quel ritratto doloroso» delle sofferenze causate ai vari gruppi sociali.
I mendicanti aumentano, rallenta o cessa ogni attività lavorativa. La gente comincia a morire d'inedia per le strade. Poco può l'azione di carità promossa dal cardinale. Così passano l'inverno e la primavera del 1629. Contro il parere della Sanità il tribunale di provvisione decide di radunare tutti gli accattoni, malati e sani, nel lazzaretto: la mortalità cresce spaventosamente per le precarie condizioni igieniche e la scarsità d'acqua e di cibo. Il tribunale è quindi costretto ad annullare il provvedimento.
Con il nuovo raccolto cessa finalmente la carestia, anche se la mortalità si prolunga fin nell'autunno.
Cambia il governatore di Milano che si allontana dalla capitale fra spontanee manifestazioni di ostilità dei cittadini: «La moltitudine, che le guardie avevan tentano invano di respingere, precedeva, circondava, seguiva le carrozze, gridando: - la va via la carestia, va via il sangue de' poveri, - e peggio.
Quando furori vicini alla porta, cominciarono anche a tirar sassi, mattoni, torsoli, bucce d'ogni sorte, la munizione solita in somma di quelle spedizioni: una parte corse sulle mura, e di là fecero un'ultima scarica sulle carrozze che uscivano».

Si profila un nuovo terribile flagello: l'imperatore fa scendere in Italia, per prendere possesso di Mantova, un esercito, composto di soldati di ventura, usi al saccheggio (il Manzoni esprime un giudizio molto severo sulle milizie mercenarie). Ventottomila fanti e settemila cavalieri, scendono dalla Valtellina, lungo il corso dell'Adda, dilagano a ondate successive per venti giorni, attraverso i paesi della nostra storia.

 

© 2009 - Luigi De Bellis