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DIVINA
COMMEDIA
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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DIVINA COMMEDIA RIASSUNTO E
CRITICA
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CANTO XXI
Dante
prosegue il viaggio nel quinto
girone, ma è tutto preso dal
desiderio di conoscere la causa
del terremoto che ha scosso il
monte del purgatorio e del canto
del «Gloria» che le anime hanno
innalzato subito dopo.
All'improvviso compare alle
spalle dei due pellegrini
un'ombra che rivolge loro un
augurio di pace: a quest'anima
Virgilio chiede spiegazione dei
fatti misteriosi prima avvenuti.
Il monte del purgatorio - spiega
quello spirito è soggetto a
leggi ben precise, diverse da
quelle che regolano la vita
della natura sulla terra,
perché, al di sopra dei tre
gradini sui quali si apre la
porta del mondo della penitenza,
non si formano più grandine,
neve, rugiada, brina, nuvole,
lampi, arcobaleni, né tanto
meno, terremoti. Il monte del
purgatorio viene scosso solo in
una occasione: quando una anima
ha compiuto la sua purificazione
ed è diventata degna di entrare
in paradiso; contemporaneamente
tutti gli spiriti penitenti
ringraziano Dio con il canto del
«Gloria». L'ombra, a una domanda
di Virgilio, rivela finalmente
il suo nome: è Stazio, il famoso
poeta latino, autore della
Tebaide e della Achilleide,
vissuto nel I secolo d. C.
Subito dopo aver spiegato che a
Roma ebbe la consacrazione a
poeta, Stazio inizia una
commossa esaltazione di Virgilio
e della sua opera, affermando
che l'Eneide non solo alimentò
ed educò il suo spirito poetico,
ma ne f u anche mamma: ignaro di
essere davanti a colui che
considera il suo maestro,
dichiara che egli
acconsentirebbe a restare un
anno di più nel purgatorio, pur
di essere vissuto al tempo del
grande mantovano. Dopo queste
parole Dante, vincendo l'umiltà
e la ritrosia di Virgilio,
rivela il nome della sua guida.
INTRODUZIONE CRITICA
L'episodio che ha per
protagonista Stazio è il più
lungo della Commedia: esso si
distende, infatti, per ben due
canti, il XXI e il XXII del
Purgatorio. È per questo
(ricordiamo inoltre che Stazio
compirà, dalla cornice degli
avari in poi, il cammino insieme
ai due pellegrini) che alcuni
critici hanno creduto di dover
individuare in questo episodio
una tappa fondamentale
dell'itinerario spirituale di
Dante, quando non addirittura la
chiave di volta dell'intero
poema, e nel personaggio
dell'autore della Tebaide,
secondo una precisa indicazione
del Porena, "una guida
intermedia fra Virgilio e
Beatrice una specie di anello di
congiunzione fra la scorta umana
e quella divina". Per il
Montanari, uno dei critici che
con maggior acume ha saputo
delineare il senso
dell'itinerario spirituale che
portò Dante dal misticismo vago
ed ancora decisamente orientato,
verso una realtà profana della
Vita Nova, attraverso
l'esperienza razionalistica del
Convivio, alla decisa preminenza
accordata al sacro nel
capolavoro della maturità,
l'unica spiegazione plausibile
dell'ampio sviluppo dato
all'episodio di Stazio dal Poeta
è "che, giunto all'ultimo terzo
del Purgatorio, in prossimità
del momento in cui dovrà
separarsi da Virgilio (alla fine
del canto XXVII) Dante vuole
glorificare nel modo più ampio
ed organico il suo maestro,
rappresentando, in persona di
Stazio, quella che era stata una
vicenda personale sua, di
Dante... ". Perciò la "funzione
gradualmente redentrice di
Virgilio è in realtà la
rappresentazione di come Dante
interpretò il suo incontro con
la poesia di Virgilio, che si
rivelò via via a Dante prima
come maestro di stile poetico,
poi come maestro di morale
naturale, da ultimo come profeta
inconscio e sacrificato della
Rivelazione cristiana". Per quel
che concerne il significato
simbolico di Stazio, in quanto
guida del protagonista, il
Montanari concorda con molti dei
più autorevoli interpreti
contemporanei nell'accogliere le
conclusioni del Landi, secondo
le quali "Stazio, di fronte a
Virgilio che è la ragione (o
forse meglio la sapienza)
puramente naturale, sarebbe la
ragione naturale, ma illuminata
e aiutata dalla Rivelazione per
ciò che riguarda la sfera del
sapere naturale, dove, in
conseguenza del peccato
originale, così facile è
l'errore, se la ragione non sia
aiutata dalla vigilanza della
Rivelazione". Aggiunge tuttavia
il critico che tale
interpretazione della funzione
svolta da Stazio nell'economia
del poema "nulla toglie alla
natura precipuamente
autobiografica dell'episodio. Si
inserisce anzi nella
rievocazione dell'esperienza
culturale di Dante come figura
[da intendersi qui nel senso
dato a questo termine dall'Auerbach,
sul fondamento di uno dei
significati da esso assunti nel
Medioevo: in quanto evento
reale, storicamente
documentabile, adombrante in sé
il significato di un altro
evento, esso pure reale e
storicamente avvenuto] del
superamento della sola filosofia
(o meglio della filosofia come
indistinta dalla teologia),
quale era stata sentita da Dante
durante la composizione del
Convivio: non la filosofia da
sola, e neppure la filosofia in
quanto utilizzi la Rivelazione
senza tener conto delle due ben
distinte sfere di competenza,
può salvare il mondo; ma solo la
teologia in quanto solo essa può
dare risposta ai supremi
principi, e può illustrare la
necessità che resti un margine
di insuperabile mistero"
L'intera vicenda dell'iter
dell'anima promessa alla
beatitudine è come
emblematicamente ricostituita
nella duplice vicenda terrena
occorsa a Stazio (nelle due
successive « conversioni »
operatesi in lui, sotto
l'influsso di Virgilio, e nel
passaggio drammatico dalla prima
di esse, ancora puramente
letteraria e mondana, che gli
meritò in terra il nome che più
dura e più onora e che è oggetto
del suo discorso nel canto XXI
alla seconda, di cui Stazio
tratta nel canto XXII, dalla
idolatria al cristianesimo).
Essa è anche riscontrabile nella
presentazione della sua figura -
in termini di un miracolo che
accorda il motivo della nascita
corporale (attraverso il mito di
Apollo e Diana) a quello della
risurrezione (attraverso la
risurrezione di Cristo), che è
la nascita seconda e definitiva
- al momento esatto in cui si
mostra degna di sciogliersi,
espiato il male compiuto, dai
vincoli della penitenza. Il tema
del libero arbitrio -
dottrinariamente affrontato fra
maestro e discepolo, in questi
canti centrali del Purgatorio,
nel corso di discussioni
appassionate, ma vibranti di un
pathos in primo luogo ancora
intellettuale - diventa,
nell'episodio di Stazio, il
movente segreto e decisivo,
quello che dall'interno anima
(pur mo sentii libera volontà di
miglior soglia) l'azione, il
distendersi stesso naturalissimo
e piano del racconto in cadenze
di attonito stupore di fronte
alla più glorificante
manifestazione del
sovrannaturale fin qui apparsa
ai due pellegrini, non meno che
il successivo ascendere della
narrazione medesima in una più
accesa drammaticità,
nell'ansioso interrogare del
pellegrino in carne ed ossa,
nella contrastata vicenda che
alle sue domande viene opposta
dall'anima liberata. Ed è
vicenda contrastata per il
coesistere, nelle parole di
questo spirito redento, del tema
della cultura - di cui suprema
espressione è la poesia - e
della gloria terrena che da essa
discende (dove mertai le tempie
ornar di mirto) e del tema
(affrontato nel canto XXII)
dell'insoddisfazione nei
riguardi di qualsiasi perfezione
meramente umana, di
un'aspirazione a beni i quali,
ponendosi decisamente al di là
della sfera in cui si conchiude
qualsiasi acquisto poetico o
culturale (quella stessa
aspirazione che indusse la
femminetta sammaritana -
menzionata in apertura di canto
- a «dimandar» la grazia),
sfolgorano in quanto patrimonio
dei soli poveri di spirito o di
coloro che hanno saputo
intravedere, come Stazio - oltre
i tesori accumulati dallo
spirito umano - le scaturigini
inesauste di quelli
sovrannaturali.
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