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DIVINA
COMMEDIA
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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DIVINA COMMEDIA RIASSUNTO E
CRITICA
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CANTO XXIII
La schiera
delle anime dei golosi procede
nel sesto girone cantando un
versetto del Salmo L, "Labia mea,
Domine". L'aspetto di questi
penitenti è tale da suscitare in
Dante la più profonda
compassione: nel volto
pallidissimo spiccano,
profondamente incavate, le
orbite degli occhi, il corpo
appare di una magrezza
spaventosa, tanto che la pelle,
disseccata e squamosa, modella
il loro scheletro. Mentre il
Poeta sta cercando di
individuare la causa di tanta
magrezza, un'anima lo riconosce
e lo interroga: è Forese Donati,
l'amico più caro durante il
periodo della vita dissoluta di
Dante. Dalla sua voce il
pellegrino viene a sapere la
causa del dimagrimento delle
anime dei golosi. Il Poeta
tuttavia si stupisce di trovare
l'amico, morto da appena cinque
anni, già nel purgatorio vero e
proprio, senza alcuna lunga
sosta nell'antipurgatorio fra le
anime che si pentirono solo alla
fine della vita. Ad accelerare
la sua ascesa sul monte della
penitenza furono le preghiere di
Nella, la sua dolce sposa, che
Forese ora ricorda con amore,
contrapponendone la virtù alla
corruzione delle sfacciate donne
fiorentine,- per le quali
aggiunge lo spirito penitente -
il cielo già prepara durissime
punizioni. Dante, per soddisfare
un'affettuosa preghiera
dell'amico, rivela che solo da
pochi giorni egli ha lasciato la
vita viziosa alla quale si era
abbandonato anni prima con lui:
la sua guida verso il bene è ora
Virgilio, in attesa della futura
venuta di Beatrice.
INTRODUZIONE CRITICA
L'incontro di Dante con Forese
Donati, il compagno di
dissipazioni giovanili,
musicalmente si inserisce - dopo
i due canti dedicati alla
celebrazione della poesia (nel
caso particolare non soltanto
simboleggiata, ma presente in
carne ed ossa davanti ai nostri
occhi nel personaggio di
Virgilio) - nel tessuto
nostalgico ma, al tempo stesso,
non scevro di asprezze,
duramente penitenziali, che
caratterizza l'atmosfera delle
cornici del sacro monte, dopo i
tempi più miti e trepidamente
sospesi dell'antipurgatorio.
L'episodio di Forese non può,
infatti, essere isolato, e quasi
reciso dal clima morale del
girone dei golosi che ne
determina i toni e gli esiti, né
d'altro lato possiamo tener
conto del solo aspetto più
domestico ed autobiografico in
cui esso trova la propria
radice, senza por mente alle
cadenze, non più calde di intimo
e sofferto ripensamento, ma
incitanti quasi all'odio ed alla
vendetta, in cui questa pagina
si risolve e che, nella sua
seconda parte - quella volta
all'antiveder, alla percezione
angosciata ed esaltante di un
tempo buio ai mortali -
accostano singolarmente il dire
di quest'anima penitente a
quello infuocato e svolto per
araldiche metafore del
capostipite della mala pianta
che la terra cristiana tutta
aduggia nel canto XX. L'episodio
di Forese risulta tuttavia assai
più complesso di quello che ha
per suo protagonista Ugo Capeto,
per il coesistere e l'armonico
fondersi in esso di tonalità
varie e più intensamente sentite
(ove l'elemento autobiografico,
riscattato da ogni angustia
municipalistica, da ogni gravame
del contingente, splende come
puro canto), laddove la
grandezza del ricordare prima,
del profetare poi,
dell'angustiato figliuol... d'un
beccaio di Parigi appare
rivestita di tragica dignità
nella unicità di un dolore
selvaggio, nell'isolamento della
sua figura in virtù del suo
stesso monocorde sentire, tutto
teso a cogliere, in vicende che
sono di dominio pubblico, la
traccia del germe malefico da
lui medesimo immesso nel mondo,
l'attivo diffondersi di un male
inspiegabile altrimenti che in
termini di destino, di peccato
ereditato e trasmesso.
L'episodio autobiografico che ha
il suo centro nel mutuo ridar
vita al passato ad opera dei due
amici-nemici di un tempo, é
collocato sullo sfondo della
descrizione riguardante la
condizione delle anime dei
golosi. Essa si esprime -
rispetto alle descrizioni svolte
nelle cornici precedenti - in
una scansione più vibrante, più
dibattuta e sofferta, scansione
che trova il suo apice nel
contrasto tra l'enunciazione
dell'aspetto fisico dei golosi -
culminante nelle metafore delle
anella sanza gemme e della emme
che spicca sul loro volto (versi
31-33), priva delle due o che su
quello dei viventi le appaiono
afancate - ed il sentimento che
anima questi spiriti nell'atto
in cui liberamente soggiacciono
alla punizione che li restituirà
alla patria celeste. Scrive in
proposito il Sapegno: "La
descrizione... dello squallido
aspetto dei golosi, pur nella
precisione che sembra distaccata
e crudele dei particolari, resta
tutta soffusa di [un] senso di
trepido stupore; e
sottolineando, nella deformità
delle fattezze, l'estraneità e
la totale irriconoscibilità
delle ombre, dà rilievo per
contrasto alla tenerezza dolente
dell'inatteso riconoscimento;
con un effetto in parte simile a
quello che il Poeta otteneva
nell'Inferno, facendo scoprire
da Dante la cara immagine di
Brunetto nel volte
irreparabilmente devastato dalle
fiamme di un violento contro
natura (ma la situazione, che là
era drammatica, qui si risolve
in toni di alta religiosa
elegia)". Questa limpida
osservazione del Sapegno
puntualizza - nel quadro di un
riferimento divenuto consueto
all'episodio del XV dell'Inferno
- i fattori che rendono diversa,
pur nell'unicità del motivo
ispiratore (il riandare col
pensiero ad un passato, che mai
più potrà proporsi sereno, nel
tempo che incalza e - agli occhi
del senza casa, senza più
patria, che lo riconosca per
figlio - sospinge il mondo, di
sventura in sventura, verso
un'apocalittica palingenesi).
Nell'episodio la resa artistica,
la tonalità specifica dei due
incontri, di Forese, infatti,
trova espressione ed armonico
compimento una complessità di
voci a volte acerbamente
divergenti, la quale mancava
nella definizione della figura
(come pacificata e resa
tollerante - entro l'ambito di
una rassegnata saggezza - del
male che la divora) di ser
Brunetto. La voce di Forese,
invece, é di quelle che, di
fronte ad un chiuso, gelosamente
custodito passato, proiettano un
futuro senza pietà, riassunto,
con tragica evidenza, nel grido
di orrore delle sfacciate donne
fiorentine, di cui al verso 108,
nello stile delle profezie
bibliche. L'episodio che ha per
suo protagonista Forese Donati
risulta pertanto più variato,
più arduo da ridurre ad un
denominatore comune nel campo
delle definizioni critiche, più
difficile da interpretare nella
sua sfumata singolarità. Il
punto in cui esso si differenzia
nettamente da quello del XV
dell'Inferno va individuato
tuttavia non nella rievocazione
del tempo che non potrà più
riproporsi attuale, quanto nello
svolgimento del motivo dell'antiveder.
In consonanza infatti con la
spiritualità sollecita degli
umani destini, caratterizzante
gli stati d'animo ansiosamente
orientati al futuro di color che
son contenti nel foco, la figura
di Forese appare rivestita di
uno splendore profetico assai
più luminoso e permeato della
presenza. del divino che non
quello - più limitato e
terrestre, esprimentesi per
sentenze e volto a tracciare le
linee di una sorte singola - il
quale aureola e ferma sul
piedestallo della gloria la cara
e buona imagine paterna
dell'autore del Tesoro.
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