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DIVINA
COMMEDIA
INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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INTRODUZIONE
CRITICA AL CANTO |
PURGATORIO |
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DIVINA COMMEDIA RIASSUNTO E
CRITICA
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CANTO XXVII
Il sole
sta tramontando sul monte del
purgatorio quando l'angelo della
castità, dopo aver cantato la
sesta beatitudine evangelica
«Beati mundo corde!», invita i
tre poeti ad entrare nelle
fiamme che occupano il settimo
girone, per poter proseguire il
loro viaggio, Ma Dante esita,
pieno di paura, e Virgilio deve
intervenire per far presente al
discepolo che nel purgatorio le
pene possono tormentare, ma non
uccidere. Tuttavia solo quando
il maestro gli ricorda che al di
là di quel muro di fiamme egli
potrà finalmente vedere
Beatrice, Dante si decide e
segue la sua guida nel fuoco,
mentre Stazio chiude il piccolo
gruppo. Virgilio, per esortare
il discepolo e sostenerlo nel
difficile momento, continua a
parlar di Beatrice finché,
guidati da un canto, i tre poeti
escono dalle fiamme, trovandosi
davanti a un angelo, che li
invita a salire prima che
sopraggiunga la notte. Poco
dopo, tuttavia, essendo
tramontato il sole, essi si
coricano su tre gradini tagliati
nella roccia, per aspettare il
nuovo giorno. Il Poeta, mentre
osserva il cielo stellato, viene
preso dal sonno; quando l'alba è
vicina egli sogna una giovane
donna, bella e leggiadra, che
percorre la campagna cogliendo
fiori e che, cantando, rivela il
proprio nome: è Lia, che fu la
prima moglie di Giacobbe e
rappresenta il simbolo della
vita attiva, mentre Rachele, che
fu la seconda moglie del
patriarca ebraico, è simbolo
della vita contemplativa. Ogni
tenebra è scomparsa quando Dante
si riscuote dal sonno; subito
dopo il maestro gli spiega che è
ormai vicina quella felicità che
tutti i mortali cercano
ansiosamente e che è
simboleggiata dal paradiso
terrestre. Virgilio, dopo aver
accompagnato Dante fino al
termine della scala che conduce
all'Eden, si congeda da lui: il
suo compito si è concluso, il
discepolo ha raggiunto la totale
purificazione e non gli resta
che attendere la venuta di
Beatrice.
INTRODUZIONE CRITICA
Con la vista dei lussuriosi che
si purificano nel fuoco ha
termine l'esperienza compiuta da
Dante nei primi due regni
dell'oltretomba. A partire da
questo momento fino alla fine
della seconda cantica la vicenda
itinerale del pellegrino
assumerà un colore più
decisamente *allegorico, venendo
a mancare ad essa lo sfondo
storico, determinabile
attraverso il riferimento a
personaggi e fatti realmente
accaduti in terra, che ha sin
qui caratterizzato gli incontri
del protagonista con le anime
dei dannati o dei promessi alla
beatitudine. Uno studioso
americano, il Singleton,
distingue nel personaggio che
parla in prima persona nella
Commedia un "io-individuo",
storicamente identificabile in
Dante Alighieri, e un "io" più
generale, a carattere simbolico:
un "io-umanità" che egli
definisce, richiamandosi ad un
celebre dramma medievale,
"Chiunque". Per il Singleton, i
canti proemiali del poema
avrebbero quale loro
protagonista questo secondo
"io", questo "io" che non si
identifica storicamente nella
concretezza di una persona
vissuta, ma che agisce sul
lettore con la portata vasta e
suggestiva di un riferimento
diretto al destino umano.
Considerazioni analoghe possono
essere svolte anche in rapporto
ai canti successivi, poiché
sempre, nella presentazione che
il Poeta fa di sé in quanto
protagonista dell'opera,
coesistono queste due forme di
intendere la soggettività,
prevalendo ora l'una ora l'altra
a seconda delle esigenze della
narrazione. Così, se nei
dialoghi con le anime ha il
sopravvento, sul Dante-simbolo,
il Dante storico, ricco di una
personale esperienza e di un
sentire che questa esperienza
traduce sempre in travaglio
morale, nei momenti in cui
l'elemento umano é messo in
ombra da quello sovrannaturale
il protagonista della Commedia
tende a coincidere con l'uomo
assunto nella sua tipicità, onde
talvolta il suo sentire sembra
contraddire quello, esprimente
la volontà ferma e il coraggio,
del Dante personaggio storico.
Basti pensare, ad esempio, al
tema ricorrente della paura, il
quale chiaramente allude ad una
condizione generica, propria
dell'uomo non ancora libero dal
peccato e bisognoso di un
soccorso per diventarlo. Questo
tema, trattato dall'autore con
effetti a volte di indubbia
comicità, come in certe
inflessioni dell'episodio
davanti alle porte di Dite o
della pagina dedicata al volo
sulla groppa di Gerione o in
tutto il movimentatissimo
episodio della bolgia dei
barattieri, acquista un notevole
risalto nella prima parte del
canto XXVII del Purgatorio. Ivi,
"cessata la rivista delle anime
purganti (o delle dannate e
delle purganti), dove domina
l'individualità storica e dei
visitati e dello stesso
visitatore», ricompare
"l'intelaiatura affabulatrice
del viaggio, dove il
protagonista é l'« io » che é
altresì «noi»" (Contini). La
critica ha cercato per diverse
vie di annettere alla poesia
solenne che contraddistingue la
seconda parte del canto (poesia
dei silenzi e delle meditazioni
notturne, poesia della
piccolezza dell'uomo nelle
dimensioni dell'universo, poesia
del risveglio in una natura
vergine, ignara del peccato) e
che culmina nel congedo tragico
di Virgilio, anche l'episodio
che ne occupa la prima parte:
quello che ci mostra Dante - (e
io pur fermo e contra coscienza)
- riluttante ad affrontare
l'ultima prova dolorosa che
attende le anime prima che
possano accedere al paradiso
terrestre. Tentativi del genere
non riescono tuttavia a
persuadere. Quando il
Momigliano, ad esempio, in
merito all'espressione sopra
riferita, parla di un verso
"unico, incrollabile sotto i
colpi reiterati delle parole di
Virgilio", non tiene conto del
contesto indubbiamente orientato
verso il comico, in cui tale
endecasillabo si trova inserito.
L'aspetto bonario di questa
rappresentazione della paura del
protagonista cui il riferimento
alla vista di cadaveri (verso
15) o di bruciati vivi (verso
18) non riesce a conferire la
consistenza di un sentimento
provato in prima persona - si
rende palese nella sua
conclusione (terzina 43), a
proposito della quale il Contini
rileva: "la situazione infantile
di Dante sottolineata da quella
sottilissima spia linguistica
che é il pronome allocutorio di
prima plurale, volenci star di
qua? (non si dice infatti ai
bambini: «Come siamo belli
oggi!» ?), é indicativa del
prevalere in lui dell'istinto
contra coscienza". Ora nessuna
situazione caratterizzata
dall'affermarsi dell'istinto in
quanto tale é mai presentata
nella Commedia in termini di un
dramma che non sia puramente
simbolico, e pertanto, là dove
questo dramma vuole affermarsi
come reale, si determina una
sproporzione fra i due piani
fondamentali (quello letterale e
quello allegorico) della
rappresentazione, con esiti
tendenti al comico. La seconda
parte del canto isola le figure
dei tre viandanti sullo sfondo
di una notte viva di inespressi
presagi, in accordo con la
grandiosa determinazione
astronomica dei versi
dell'esordio, nei quali
l'impassibilità del decorso
degli eventi naturali inquadra
la passione del Dio fatto uomo
(verso 2). Rimandare in
proposito, come fa il
Momigliano, all'atmosfera che
caratterizza un componimento
come L'infinito del Leopardi,
può riuscire utile nei margini
di una larghissima
approssimazione, ma allora tanti
altri riferimenti potrebbero
risultare ugualmente validi. Ciò
che distingue il respiro cosmico
che anima questa pagina
commossa, dalle meditazioni
notturne degli scrittori più
vicini a noi nel tempo, é il
senso di fiduciosa attesa che la
pervade, l'armonia che si
istituisce tra il soggetto
contemplante e la natura di cui
si sente parte, oltre che
osservatore. Dante non esprime
un desiderio di « naufragare»
nel mare dell'essere, di
sfuggire in tal modo al tormento
della coscienza, ma, assorto (si
ruminando e sì mirando in
quelle) nella contemplazione di
astri che gli indicano senza
errore il cammino che deve
seguire, cede ad un sonno
apportatore, per via di
prefigurazioni simboliche, di
verità.
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