1 |
O poca
nostra nobiltà di sangue,
se glorïar di te la gente fai
qua giù dove l'affetto nostro langue, |
|
1 |
O nostra nobiltà di sangue, che sei
cosa di si poco conto, se induci gli uomini a gloriarsi
di te quaggiù sulla terra, dove il nostro amore (verso
Dio) ha scarsa forza (poiché si lascia attrarre dai beni
mondani), |
|
Nel Convivio Dante combatte il pregiudizio di chi
ritiene che la vera nobiltà sia solo quella della
stirpe, affermando che "'I divino seme non cade in
ischiatta, cioè in istirpe, ma cade ne le singulari
persone, e... la stirpe non fa le singolari persone
nobili, ma le singulari persone fanno nobile la stirpe"
(IV, XX, 5). |
4 |
mirabil cosa
non mi sarà mai:
ché là dove appetito non si torce,
dico nel cielo, io me ne gloriai. |
|
4 |
per me ormai non sarai più
causa di meraviglia, perché lassù , voglio dire in
cielo, dove il nostro desiderio non può mai essere
deviato dalla retta via, io pure mi gloriai di te. |
7 |
Ben se' tu
manto che tosto raccorce:
sì che, se non s'appon di dì in die,
lo tempo va dintorno con le force. |
|
7 |
Certo tu sei come un
mantello che presto diventa corto, così che, se non si
aggiunge ogni giorno qualcosa ad esso (cioè alla virtù
degli antenati), il tempo accorcia questo mantello
girandovi intorno con le forbici. |
10 |
Dal 'voi'
che prima a Roma s'offerie,
in che la sua famiglia men persevra,
ricominciaron le parole mie; |
|
10 |
Io ripresi il mio discorso
(con Cacciaguida) usando il “voi” che Roma per prima
permise, uso nel quale (ora) la sua popolazione
persevera meno delle altre; |
|
Il Medioevo riteneva erroneamente che l'uso, in segno di
rispetto, del pronome "voi" si fosse diffuso a Roma per
fare, in tal modo, atto di omaggio a Giulio Cesare,
Tuttavia quell'abitudine a Roma scomparve ben presto e
ritornò l'uso del pronome "tu", che permane ancora oggi
nella parlata dialettale del Lazio. Dante si serve poche
volte del " voi " che prima Roma sofferie: con Farinata,
Cavalcante, Brunetto Latini, il pontefice Adriano V,
Beatrice. |
13 |
onde
Beatrice, ch'era un poco scevra,
ridendo, parve quella che tossio
al primo fallo scritto di Ginevra. |
|
13 |
perciò Beatrice, che stava un poco
discosta da me, sorridendo, parve fare come la dama di
Malehaut, quella che tossì in occasione del primo
colloquio d’amore di Ginevra raccontato nei romanzi
francesi. |
|
Nel romanzo bretone Lancelot da Lac la dama di Malchaut,
anch'ella innamorata di Lancillotto, assistette in
disparte al colloquio nel quale la regina Ginevra e
l'eroe si rivelarono il loro reciproco amore e con un
colpo di tosse avvertì gli innamorati della sua presenza
e del fatto che ormai conosceva il loro segreto. Con il
suo sorriso Beatrice fa rilevare a Dante l'umana
debolezza da cui ha tratto origine l'uso del "voi" nei
confronti di Cacciaguida. |
16 |
Io
cominciai: «Voi siete il padre mio;
voi mi date a parlar tutta baldezza;
voi mi levate sì, ch'i' son più ch'io. |
|
16 |
Io cominciai: “Voi siete
il padre mio; voi mi date un confidente ardire nel
parlarvi; voi mi elevate così in alto, che io mi sento
più di quello che sono in realtà. |
19 |
Per tanti
rivi s'empie d'allegrezza
la mente mia, che di sé fa letizia
perché può sostener che non si spezza. |
|
19 |
(Ascoltandovi) il mio animo si riempie di gioia per così
tante vie, che si rallegra con se stesso perché può
sostenerla senza esserne sopraffatto. |
22 |
Ditemi
dunque, cara mia primizia,
quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni
che si segnaro in vostra püerizia; |
|
22 |
Ditemi, dunque, amato capostipite della mia famiglia,
chi furono i vostri antenati, e in quali anni si svolse
la vostra fanciullezza (letteralmente: quali furono gli
anni che si segnarono nei calendari durante la vostra
fanciullezza); |
25 |
ditemi de l'ovil
di San Giovanni
quanto era allora, e chi eran le genti
tra esso degne di più alti scanni». |
|
25 |
ditemi quanti erano allora gli abitanti di Firenze (ovil
di San Giovanni, in quanto San Giovanni Battista è il
patrono della città), e quali in essa le famiglie degne
di salire alle più alte dignità”. |
28 |
Come
s'avviva a lo spirar d'i venti
carbone in fiamma, così vid' io quella
luce risplendere a' miei blandimenti; |
|
28 |
Come per lo spirare del
vento si ravviva un carbone acceso, così vidi la luce di
Cacciaguida risplendere più intensamente alle mie parole
affettuose; |
31 |
e come a li
occhi miei si fé più bella,
così con voce più dolce e soave,
ma non con questa moderna favella, |
|
31 |
e come essa si fece più
bella ai miei occhi, così con voce più dolce e soave (di
prima), ma non nella lingua che usiamo ora, |
|
Cacciaguida, riprendendo il discorso, usa il volgare
fiorentino arcaico, di contro a quello dei tempi di
Dante, il quale ben conosceva la rapidità con la quale
si modifica la lingua parlata: (De Volgari Eloquentia 1,
IX, 6-8). |
34 |
dissemi: «Da
quel dì che fu detto 'Ave'
al parto in che mia madre, ch'è or santa,
s'allevïò di me ond' era grave, |
|
34 |
mi disse: “Dal giorno in
cui l’arcangelo disse “Ave” alla Vergine Maria fino al
momento del parto con il quale mia madre, che ora è
beata in cielo, si sgravò di me di cui era incinta, |
37 |
al suo Leon
cinquecento cinquanta
e trenta fiate venne questo foco
a rinfiammarsi sotto la sua pianta. |
|
37 |
il rosso pianeta Marte
venne 580 volte ad attingere nuovo calore sotto il piede
del Leone, la costellazione che ha la sua stessa natura. |
|
Poiché secondo la teoria di Alfragano il pianeta Marte
compie la sua rivoluzione in 687 giorni, sono trascorsi
1091 anni dal 25 marzo, giorno dell'Annunciazione (dal
quale i Fiorentini computavano gli anni) fino al giorno
della nascita di Cacciaguida. Al suo Leon: questa
costellazione, infatti, è di "complessione calda e secca
come Marte" (Pietro di Dante). |
40 |
Li antichi
miei e io nacqui nel loco
dove si truova pria l'ultimo sesto
da quei che corre il vostro annüal gioco. |
|
40 |
I miei avi ed io nascemmo in quel
puntodi Firenze dove per chi corre il vostro palio
annuale incomincia l’ultimo sestiere. |
|
Firenze celebrava ogni anno la festa del suo patrono,
San Giovanni Battista, con un palio il cui percorso
attraversava la città da ponente a levante. Il sestiere
di porta San Piero (uno dei tanti in cui era divisa
Firenze) era l'ultimo che la corsa del palio doveva
attraversare; all'inizio di esso (pria) si trovava
l'imbocco di via degli Speziali, dove sorgevano le case
degli Elisei (e questo proverebbe la tesi secondo la
quale Cacciaguida discende dagli Elisei ), mentre gli
Alighieri avevano la loro casa nella zona di San
Martino, lontana dal percorso del palio. È certo,
tuttavia, che Dante intende rilevare che la sua
famiglia, come tutte quelle di antica origine, aveva
sede entro la vecchia cerchia murale. |
43 |
Basti d'i
miei maggiori udirne questo:
chi ei si fosser e onde venner quivi,
più è tacer che ragionare onesto. |
|
43 |
Dei miei antenati ti basti
sapere questo: chi essi fossero e da dove siano venuti
qui a Firenze, è più opportuno tacere che dire. |
46 |
Tutti color
ch'a quel tempo eran ivi
da poter arme tra Marte e 'l Batista,
eran il quinto di quei ch'or son vivi. |
|
46 |
Tutti coloro che in quel
tempo erano atti alle armi a Firenze nella zona compresa
tra la statua di Marte (sul Ponte Vecchio) e il
Battistero, erano la quinta parte di quelli che ora sono
nella città. |
|
Il Villani (Cronaca VIII, 39) fa ascendere la
popolazione di Firenze nei 1300 a "più di trentamila
cittadini". Quindi al tempo di Cacciaguida la città
contava poco più di seimila abitanti (occorre ricordare,
a questo proposito, che nel Medioevo spesso la
popolazione di una città era calcolata in base al numero
di coloro che erano atti a portare le armi). Tra Marte e
'I Batista: cioè tra il Ponte Vecchio, sul quale si
trovava un'antica statua mutila di Marte ( cfr. Inferno
XIII, 146-147), che i Fiorentini guardavano con
superstizioso ti, more, e il bel San Giovanni. |
49 |
Ma la
cittadinanza, ch'è or mista
di Campi, di Certaldo e di Fegghine,
pura vediesi ne l'ultimo artista. |
|
49 |
Ma la popolazione, che ora è mescolata
con famiglie del contado venute da Campi, da Certaldo e
da Figline, appariva di puro sangue fiorentino fino al
più umile artigiano. |
|
Dal contado fiorentino (Campi è nella valle del
Bisenzio, Certaldo in Valdelsa, Figline in Valdarno)
giunse la gente nova che contaminò la purezza della
stirpe romana dalla quale erano discesi gli abitanti
della Firenze antica. |
52 |
Oh quanto
fora meglio esser vicine
quelle genti ch'io dico, e al Galluzzo
e a Trespiano aver vostro confine, |
|
52 |
Oh quanto sarebbe meglio che quelle
genti di cui ho parlato fossero solo vostre confinanti,
e che voi aveste il confine della vostra città a
Galluzzo e a Trespiano, |
|
A Galluzzo (borgo a due miglia da Firenze, sulla strada
di Siena) e a Trespiano (località poco lontana da
Firenze, sulla strada di Bologna ) terminava il confine
della città al tempo di Cacciaguida. |
55 |
che averle
dentro e sostener lo puzzo
del villan d'Aguglion, di quel da Signa,
che già per barattare ha l'occhio aguzzo! |
|
55 |
anziché averle dentro le mura e
sostenere il tanfo contadinesco di Baldo d’Aguglione, di
Fazio da Signa, che certo ha l’occhio pronto a cogliere
ogni occasione di baratteria! |
|
Lo sdegno del Poeta per la gente nova si concentra su
due personaggi, nei quali il pazzo del villan è
diventato anche sozzura morale. Il primo è Baldo di
Guglielmo d'Aguglione o Aquilone (un castello della val
di Pesa), il quale fu un famoso giurista che partecipo
alla vita politica della sua città. Fu, tra l'altro,
promotore della Riforma del 2 settembre 1311, con la
quale venne riconfermato l'esilio dei Ghibellini e dei
Bianchi, fra i quali era anche Dante. Il secondo
personaggio è Fazio dei Morubaldini da Signa, anch'egli
giureconsulto; la sua disonestà in campo politico è
testimoniata dal suo improvviso passaggio dal partito
dei Bianchi a quello dei Neri "per malfare" (Compagni -
Cronaca II, 23). |
58 |
Se la gente
ch'al mondo più traligna
non fosse stata a Cesare noverca,
ma come madre a suo figlio benigna, |
|
58 |
Se la gente di Chiesa, che
oggi nel mondo è quella che più devia dal retto cammino,
non fosse stata avversa all’imperatore (a Cesare) come
una matrigna, ma si fosse comportata (nei suoi
confronti) |
61 |
tal fatto è
fiorentino e cambia e merca,
che si sarebbe vòlto a Simifonti,
là dove andava l'avolo a la cerca; |
|
61 |
come una madre piena
d’amore verso il figlio, taluni che sono diventati
fiorentini ed esercitano l’arte del cambio e della
mercatura, avrebbero invece continuato a vivere nel
contado di Semifonte, là dove i loro antenati facevano
la ronda di notte (attorno alle mura): |
|
Ritorna il pensiero dominante nella dottrina politica di
Dante: origine di ogni male è la guerra mossa dalla
Chiesa, avida e corrotta, all'Impero, il quale vide
ridotta la propria autorità e la propria forza di fronte
alle città italiane. Queste, come la guelfa Firenze,
poterono così ingrandirsi e assorbire tutto il contado.
Secondo il Torraca, invece, Dante intenderebbe alludere
al trattato di San Genesio (11 novembre 1197), col quale
le città e i signori di Toscana si unirono in lega
difensiva e offensiva, presenti due cardinali, e
firmarono di non ricevere alcuno imperatore o nunzio o
rappresentante... se non con 1'assenso o con speciale
mandato della Chiesa romana". Da Semifonte (castello
della Valdelsa) giunse a Firenze la famiglia dei
Velluti, un membro della quale, Lippo, appartenente al
partito dei Neri, fu uno dei capi della rivolta dei
magnati contro Giano della Bella e uno dei responsabili
del crollo dell'equilibrato governo dei Bianchi. Cosi il
Buti spiega l'espressione andava... alla cerca: "col
panieri e col` somieri vendendo la merce, come vanno per
lo contado i rivenditori'. Alla cerca significa, invece,
per l'Ottimo e Benvenuto, "alla guardia" e in tale senso
il termine fu usato nel volgare fiorentino del tempo. |
64 |
sariesi
Montemurlo ancor de' Conti;
sarieno i Cerchi nel piovier d'Acone,
e forse in Valdigrieve i Buondelmonti. |
|
64 |
il castello di Montemurlo sarebbe
ancora dei conti Guidi; i Cerchi sarebbero ancora nella
pieve di Acone, e forse i Buondelmonti ancora in Val di
Greve. |
|
Se l'autorità dell'Impero fosse rimasta intatta, non
sarebbe entrata in crisi neppure la feudalità,
disorganizzata ed incapace di resistere agli assalti dei
giovani Comuni. Cosi non solo Firenze conquistò il
contado e permise che diventassero suoi cittadini
avventurieri come i Velluti, ma vide aumentare anche il
numero dei suoi nobili. Infatti i Comuni, usciti
vittoriosi dalle lotte contro i feudatari, imponevano ai
nobili del contado, come ricorda il Mattalia, o il
trasferimento definitivo in città o un soggiorno
annuale, a titolo di garanzia e di efficace controllo. L
aumento del numero delle famiglie nobili e la loro
diversa provenienza contribuirono ad accrescere le
discordie. Il castello di Montemurlo, situato fra
Pistoia e Prato, era un feudo imperiale dei conti Guidi
( chiamati a Firenze i Conti per antonomasia, essendo
una delle più potenti famiglie feudali della Toscana), i
quali, non essendo in grado di difenderlo contro i
Pistoiesi, lo cedettero a Firenze nel 1219. Originari di
Acone, in val di Sieve, i Cerchi si trasferirono a
Firenze nel secolo XII, diventando in breve una delle
famiglie più ricche (per i loro floridi commerci), e più
potenti (perché furono a capo dei Guelfi bianchi ) . La
famiglia dei Buondelmonti (un membro della quale fu la
causa diretta della divisione interna di Firenze; cEr.
versi 140-144) occupò il castello di Montebuoni, in Val
di Greve, fino al 1135, anno in cui esso venne distrutto
dai Fiorentini e la famiglia dovette trasferirsi nella
città gigliata ( cfr. Villani Cronaca IV, 36). |
67 |
Sempre la
confusion de le persone
principio fu del mal de la cittade,
come del vostro il cibo che s'appone; |
|
67 |
La mescolanza
di stirpi diverse fu sempre causa di rovina per lo
stato, come (è causa di malattia) per il vostro corpo il
cibo che si sovrappone (nello stomaco ad un altro non
ancora digerito); |
70 |
e cieco toro
più avaccio cade
che cieco agnello; e molte volte taglia
più e meglio una che le cinque spade. |
|
70 |
e un toro cieco cade più
presto di un agnello cieco; e spesso una spada sola
ferisce più e meglio che non cinque spade. |
|
Dalla Politica di Aristotile Dante ha derivato il
principio che la rovina di una città è causata dal
disordine e dagli squilibri provocati dal sovrapporsi di
elementi forestieri su quelli indigeni. Inoltre una
città grande e dissennata (il cieco toro) si regge con
maggiore difficoltà che non una città piccola e
dissennata ( il cieco agnello ), perché attira su di se
più facilmente gli attacchi dei nemici; inoltre uno
stato può agire con più decisione ed efficacia quando i
suoi cittadini sono poco numerosi ( più e meglio una che
le cinque spade). |
73 |
Se tu
riguardi Luni e Orbisaglia
come sono ite, e come se ne vanno
di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia, |
|
73 |
Se tu consideri come sono
andate in rovina Luni e Urbisaglia, e come si stanno
spegnendo sulle loro orme Chiusi e Sinigaglia,
|
76 |
udir come le
schiatte si disfanno
non ti parrà nova cosa né forte,
poscia che le cittadi termine hanno. |
|
76 |
non ti sembrerà cosa
strana né difficile a capirsi che si spengono (anche) le
famiglie, dal momento che la vita delle città è soggetta
alla rovina. |
|
La decadenza di Luni, antica città etrusca presso la
foce del fiume Magra (Inferno XX, 47), fu provocata dai
Saraceni, mentre furono i Visigoti a distruggere
Urbisaglia (Urbs Salvia), presso Tolentino. Al tempo di
Dante erano ormai prossime alla scomparsa due città un
tempo fiorenti: l'etrusca Chiusi, in Val di Chiana, e la
romana Sena Gallica, Sinigaglia, la cui decadenza era
dovuta alla malaria e alle devastazioni alle quali era
stata sottoposta prima dai barbari e poi dai signori di
Romagna. |
79 |
Le vostre
cose tutte hanno lor morte,
sì come voi; ma celasi in alcuna
che dura molto, e le vite son corte. |
|
79 |
Le cose terrene, così come
( avviene per) voi uomini, sono tutte soggette alla
morte, ma essa sembra non manifestarsi in alcune cose
che durano a lungo ( come le città o le schiatte);
d’altra parte la vita umana è cosi breve (che non
permette di vedere la loro fine). |
82 |
E come 'l
volger del ciel de la luna
cuopre e discuopre i liti sanza posa,
così fa di Fiorenza la Fortuna: |
|
82 |
E come il girare del cielo
della Luna (generando i flussi e i riflussi della marea)
copre e lascia scoperte alternativamente le spiagge del
mare, così la Fortuna ora innalza, ora abbassa le sorti
di Firenze: |
85 |
per che non
dee parer mirabil cosa
ciò ch'io dirò de li alti Fiorentini
onde è la fama nel tempo nascosa. |
|
85 |
per questo motivo non deve
stupire ciò che io dirò dei Fiorentini di antica
nobiltà, la fama dei quali è coperta dall’oblio del
tempo. |
88 |
Io vidi li
Ughi e vidi i Catellini,
Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi,
già nel calare, illustri cittadini; |
|
88 |
Io vidi gli Ughi, e vidi i
Catellini, i Filippi, i Greci, gli Ormanni e gli
Alberichi, già in decadenza e in via di estinzione,
sebbene ancora illustri cittadini; |
|
Cacciaguida enumera le famiglie che dopo un periodo di
grande splendore erano già entrate nella fase decadente
al suo tempo ed erano scomparse completamente al tempo
di Dante (cfr. anche Villani, Cronaca IV, 11-13). |
91 |
e vidi così
grandi come antichi,
con quel de la Sannella, quel de l'Arca,
e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi. |
|
91 |
e vidi famiglie la cui potenza era pari
all’antichità, con gli appartenenti alla famiglia dei
della Sannella, dei dell’Arce, e i Soldanieri e gli
Ardinghi e i Bostichi. |
|
Queste famiglie mantenevano intatte, al tempo di
Cacciaguida, la loro grandezza e la loro fama. Nel
secolo XIV esse, come riferisce l'Ottimo, erano già
decadute o scomparse o mandate in esilio, come quella
dei Soldanieri. |
94 |
Sovra la
porta ch'al presente è carca
di nova fellonia di tanto peso
che tosto fia iattura de la barca, |
|
94 |
Presso porta San Piero, che ora è piena
di felloneria portata da gente appena arrivata,
felloneria così grave che presto causerà la rovina della
città che l’accoglie, |
|
La fellonia che provocherà la rovina di Firenze è quella
dei Cerchi (gente nova, perché appena giunta dal
contado), che nel 1280 acquistarono dai conti Guidi il
quartiere situato presso porta San Piero. Tuttavia non è
chiaro il significato da attribuire a fellonia: il
Torraca propone quello di "malvagità", il Del Lungo, con
riferimento alla incerta condotta dei Cerchi al momento
dell'entrata in Firenze di Carlo di Valois, quello di "
tradimento all'unità di parte e della città". Il termine
potrebbe alludere anche alle discordie fomentate dai
Cerchi, che capeggiavano in Firenze il partito dei
Bianchi. |
97 |
erano i
Ravignani, ond' è disceso
il conte Guido e qualunque del nome
de l'alto Bellincione ha poscia preso. |
|
97 |
abitavano i Ravignani, dai quali sono
discesi il conte Guido e tutti coloro che hanno poi
preso il nome dal nobile Bellincione. |
|
Capo della famiglia dei Ravignani fu Bellincione Berti,
la cui figlia, la buona Gualdrada (Inferno XVI, 37),
sposò Guido Guerra, capostipite dei conti Guidi.
Un'altra figlia sposò Ubertino Donati e i loro
discendenti furono chiamati Bellincioni; inoltre questo
nome famoso fu rinnovato più volte nella famiglia degli
Adimari, discesa da un'altra figlia di Bellincione. |
100 |
Quel de la
Pressa sapeva già come
regger si vuole, e avea Galigaio
dorata in casa sua già l'elsa e 'l pome. |
|
100 |
Gli appartenenti alla famiglia della
Pressa avevano già esperienza di governo, e i Galigai
erano già stati insigniti della dignità di cavalieri. |
|
Abbiamo notizia di queste famiglie Abbiamo notizie di
queste famiglie ghibelline dal Villani ( Cronaca IV, 10;
V, 39; Vl, 65 e 70; cfr. anche Compagni - Cronaca 1,
12): la prima abitava nel quartiere vicino al Duomo, la
seconda, i cui membri potevano fregiarsi del titolo di
cavaliere e portare la spada dall'impugnatura dorata
(simbolo dell'ordine cavalleresco), in quello vicino
alla chiesa di Orsanmichele. |
103 |
Grand' era
già la colonna del Vaio,
Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci
e Galli e quei ch'arrossan per lo staio. |
|
103 |
Erano già grandi la famiglia dei Pigli,
quella dei Sacchetti. dei Giuochi. dei Fifanti e dei
Barucci e dei Galli e dei Chiaramontesi, coloro che
arrossiscono di vergogna per la frode dello staio di
sale. |
|
I Pigli, il cui stemma era una striscia verticale di
vaio (pelle conciata adoperata per ornamento) in campo
rosso, erano ghibellini, come tutte le famiglie qui
enumerate, ad eccezione di quella dei Sacchetti. Questi
ultimi furono acerrimi nemici degli Alighieri, con i
quali si riconciliarono solo nel 1342 per intervento del
Duca d'Atene. E quei ch'arrossan per lo staio: la frode
perpetrata ai danni del comune fiorentino da Donato dei
Chiaromontesi, che vendeva il sale con una misura di
staio irregolare, è già stata ricordata da Dante nel
Purgatorio (canto XII, verso 105). |
106 |
Lo ceppo di
che nacquero i Calfucci
era già grande, e già eran tratti
a le curule Sizii e Arrigucci. |
|
106 |
La schiatta da cui discese la famiglia
dei Calfucci era già grande, e già erano stati chiamati
alle più alte cariche pubbliche i Sizii e gli Arrigucci. |
|
Il ceppo dei Calfucci fu la grande consorteria dei
Donati (Villani, Cronaca IV, 11 ) . Sempre il Villani (
Cronaca IV, 10; V, 39) ci informa che i Sizii e gli
Arrigucci furono famiglie di parte guelfa. Alle curale:
nell'antica Roma le sedie curuli erano riservate agli
alti magistrati. |
109 |
Oh quali io
vidi quei che son disfatti
per lor superbia! e le palle de l'oro
fiorian Fiorenza in tutt' i suoi gran fatti. |
|
109 |
Oh quanto potenti io vidi gli Uberti,
che (ora) sono caduti in rovina per la loro superbia! e
l’insegna dei Lamberti dava lustro a Firenze in tutte le
sue grandi imprese. |
|
Cacciaguida ricorda ora gli Uberti (cfr. Inferno X, 31
sgg.), considerati "padri della cittade" (Ottimo) fino
al momento in cui nacquero le prime divisioni civili, e
i Lamberti (il cui stemma era costituito da palle d'oro
in campo azzurro), altra famiglia ghibellina, anch'essa,
come quella degli Uberti, messa al bando dopo la
sconfitta di Montaperti ( 1260). |
112 |
Così facieno
i padri di coloro
che, sempre che la vostra chiesa vaca,
si fanno grassi stando a consistoro. |
|
112 |
Allo stesso modo (dei Lamberti)
onoravano Firenze gli antenati dei Visdomini e dei
Tosinghi, i quali, quando la vostra sede vescovile è
vacante, ne approfittano per arricchirsi allorché si
riuniscono insieme per amministrarla. |
|
Per antico privilegio i membri delle due famiglie ora
ricordate da Dante erano autori e protettori ( Ottimo )
della diocesi di Firenze, che essi amministravano
durante tutto il periodo in cui la sede vescovile
rimaneva vacante, procurando di trarre lauti guadagni da
questo loro incarico. |
115 |
L'oltracotata
schiatta che s'indraca
dietro a chi fugge, e a chi mostra 'l dente
o ver la borsa, com' agnel si placa, |
|
115 |
La prepotente schiatta
(degli Adimari) che infierisce (s’indraca: si fa feroce
come drago) su chi fugge, e diventa umile come un
agnello davanti a chi le mostra i denti o le offre la
borsa, |
118 |
già venìa sù,
ma di picciola gente;
sì che non piacque ad Ubertin Donato
che poï il suocero il fé lor parente. |
|
118 |
già iniziava l’ascesa, ma
modesta era la sua origine tanto che a Ubertino Donati
non piacque che il suocero ( Bellincione Berti ) lo
facesse poi diventare loro parente. |
121 |
Già era 'l
Caponsacco nel mercato
disceso giù da Fiesole, e già era
buon cittadino Giuda e Infangato. |
|
121 |
I Caponsacchi erano già
scesi da Fiesole ed abitavano nei pressi del Mercato
Vecchio, ed eran già diventati cittadini ragguardevoli i
Giudi e gli Infangati. |
|
Per comprendere appieno la violenza dello sdegno che si
abbatte sugli Adimari (cfr. anche Inferno VIII, 31,63),
occorre ricordare che un membro di questa famiglia,
Boccaccino dei Cavicciuli Adimari, chiese ed ottenne dal
comune fiorentino che i beni di Dante, già condannato
all'esilio, fossero tutti confiscati. Dante considerava
gli Adimari di umili origini, mentre essi erano una
delle più antiche e nobili famiglie fiorentine, cosicché
ritiene sia sta un'onta per Ubertino Donati, che aveva
sposato una figlia di Bellincior Berti, l'essersi
imparentato, per il matrimonio di una sorella della
mogli' con l'oltracotata schiatta. |
124 |
Io dirò cosa
incredibile e vera:
nel picciol cerchio s'entrava per porta
che si nomava da quei de la Pera. |
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124 |
Dirò una cosa incredibile eppure vera
nella cerchia antica si entrava per una porta che
prendeva nome dalla famiglia dei della Pera. |
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Il Villani (Cronaca IV, I I e 13) ricorda che tutte e
tre queste famiglie appartenevano al partito ghibellino. |
127 |
Ciascun che
de la bella insegna porta
del gran barone il cui nome e 'l cui pregio
la festa di Tommaso riconforta, |
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127 |
Tutte le famiglie che portano (nel loro
stemma ) la bella insegna di Ugo il Grande, la cui fama
e le cui opere sono commemorate nel giorno festivo di
San Tommaso, |
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Nel passato la potenza e la fama di questa famiglia,
ormai scomparsa al tempo di Dante, erano tali che la
porta delle antiche mura, presso cui essa aveva la sua
casa, si chiamava porta Peruzza. |
130 |
da esso ebbe
milizia e privilegio;
avvegna che con popol si rauni
oggi colui che la fascia col fregio. |
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130 |
ricevettero da lui la
dignità cavalleresca e il privilegio (di portare il suo
stemma), sebbene oggi uno che adorna quell’insegna col
fregio (di una fascia d’oro) si sia schierato dalla
parte del popolo. |
133 |
Già eran
Gualterotti e Importuni;
e ancor saria Borgo più quïeto,
se di novi vicin fosser digiuni. |
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133 |
Fiorivano già le famiglie
dei Gualterotti e degli Importuni; e il quartiere di
Borgo Santi Apostoli sarebbe ancor oggi più tranquillo,
se esse non avessero avuto i nuovi vicini. |
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Molte famiglie fiorentine (Giandonati, Pulci, Nerli,
della Bella, Gargalandi, Ciuffagni, Alepri) hanno nel
loro stemma le sette doghe vermiglie in campo bianco,
che ornavano l'insegna di Ugo il Grande di Brandeburgo,
marchese di Toscana, vicario dell'imperatore Ottone 111.
Stabilitosi in Toscana, Ugo vi fondò, per voto, sette
badie, tra le quali quella di Firenze, dove fu sepolto
alla sua morte (1001) e dove ogni anno, nel giorno
anniversario della sua scomparsa, 21 dicembre, festa di
San Tommaso apostolo, si celebravano solenni esequie. Il
discendente di una di queste famiglie, la cui nobiltà
risale a Ugo il Grande, è Giano della Bella, il quale
con i suoi famosi "Ordinamenti di giustizia" (1293) si è
ora schierato in difesa del popolo contro le prepotenze
dei nobili e dei ricchi. |
136 |
La casa di
che nacque il vostro fleto,
per lo giusto disdegno che v'ha morti
e puose fine al vostro viver lieto, |
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136 |
La casa (degli Amidei) da cui nacque il
pianto di Firenze, a causa del loro legittimo sdegno che
(però) vi ha portati alla rovina, e ha posto fine alla
vostra vita serena e pacifica, |
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A Borgo Santi Apostoli si stabilirono, accanto ai
Gualterotti e agli Importuni, i Buondelmonti,
provenienti d'Oltrarno, i quali diedero l'avvio alle
discordie civili (versi 136-147). |
139 |
era onorata,
essa e suoi consorti:
o Buondelmonte, quanto mal fuggisti
le nozze süe per li altrui conforti! |
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139 |
era tenuta in onore, essa
e la sua consorteria (i Gherardini e gli Uccellini): o
Buondelmonte, quanto facesti male a venir meno alla
promessa di nozze con una donna di quella famiglia per
istigazione altrui! |
142 |
Molti
sarebber lieti, che son tristi,
se Dio t'avesse conceduto ad Ema
la prima volta ch'a città venisti. |
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142 |
Molti, che ora sono tristi
(per i lutti causati dalla divisione della città),
sarebbero invece lieti, se Dio ti avesse fatto annegare
nel fiume Ema la prima volta che venisti a Firenze. |
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Buondelmonte dei Buondelmonti, promesso sposo a una
fanciulla della casa degli Amidei, venne meno alla
parola data lasciandosi persuadere da Gualdrada Donati
(per li altrui conforti) a sposare una delle sue figlie.
Questo fatto provocò lo sdegno degli Amidei, che vollero
vendicare l'offesa subita uccidendo Buondelmonte. Gli
storici fiorentini (Villani, Cronaca V, 38; Compagni -
Cronaca I, 2), che ricordano il tragico episodio
avvenuto nel 1215, fanno risalire a queste discordie la
divisione di Firenze in Guelfi (la parte dei
Buondelmonti) e Ghibellini (la parte degli Amidei). |
145 |
Ma
conveniesi, a quella pietra scema
che guarda 'l ponte, che Fiorenza fesse
vittima ne la sua pace postrema. |
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145 |
Ma era necessario che Firenze, giunta
alla fine del suo periodo di pace interna, immolasse una
vittima alla statua mutila di Marte che è in capo al
Ponte Vecchio. |
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L'Ema è un fiume della val di Greve che si doveva
attraversare venendo da Montebuono, castello avito dei
Buondelmonti, a Firenze. La famiglia si era trasferita
nella città fin dal 1135, ma probabilmente alcuni suoi
membri erano rimasti nel contado, passando a Firenze
solo in un secondo momento. Il Buti racconta che quando
Buondelmonte vi si recò per la prima volta corse il
rischio di annegare nell'Ema. |
148 |
Con queste
genti, e con altre con esse,
vid' io Fiorenza in sì fatto riposo,
che non avea cagione onde piangesse. |
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148 |
Con queste famiglie e con altre insieme
a loro, vidi Firenze in una pace così profonda, che non
c’era nulla da cui ricevesse motivo di sofferenza: |
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I consorti degli Amidei, infatti, uccisero Buondelmonte
nel giorno di Pasqua del 1215 ai piedi della statua
mutila di Marte (cfr. Inferno XIII, 146-147). |
151 |
Con queste
genti vid' io glorïoso
e giusto il popol suo, tanto che 'l giglio
non era ad asta mai posto a ritroso, |
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151 |
con queste famiglie io
vidi il suo popolo così glorioso e concorde, che
l’insegna del giglio non era mai stata capovolta in cima
all’asta, |
154 |
né per
divisïon fatto vermiglio». |
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154 |
né il giglio bianco era
mai stato sostituito con quello rosso per le lotte di
partito”.
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Il comune fiorentino, tra tutti i comuni toscani, fu, al
tempo di Cacciaguida, il più glorioso (la sua insegna,
infatti, non venne mai trascinata capovolta per dileggio
dal nemico vincitore, secondo l'uso del tempo ) e il più
giusto (nessun cittadino ebbe necessità per distinguere
il suo partito da quello avverso, di cambiare in rosso
il giglio bianco di Firenze, come invece avvenne nel
1251, dopo la guerra contro Pistoia). Infatti, cacciati
i Ghibellini, "il popolo e li Guelfi, che dimorarono
alla signoria di Firenze... dove anticamente si portava
il campo rosso e 'l giglio bianco, si feciono per
contrario il campo bianco e '1 giglio rosso" (Villani -
Cronaca IV, 43), mentre i Ghibellini mantennero l'antica
insegna. |