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DIVINA
COMMEDIA: PARAFRASI
PARADISO
CANTO IV° |
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1 |
Intra due
cibi, distanti e moventi
d'un modo, prima si morria di fame,
che liber' omo l'un recasse ai denti; |
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1 |
Posto fra due cibi, ugualmente distanti e ugualmente
allettanti, l’uomo dotato di libero arbitrio morirebbe
di fame prima di portarne uno ai denti; |
4 |
sì si
starebbe un agno intra due brame
di fieri lupi, igualmente temendo;
sì si starebbe un cane intra due dame: |
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4 |
allo stesso modo starebbe
immobile un agnello tra due lupi affamati e feroci,
temendo nella stessa misura l’uno e l’altro; |
7 |
per che,
s'i' mi tacea, me non riprendo,
da li miei dubbi d'un modo sospinto,
poi ch'era necessario, né commendo. |
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7 |
Cosi se ne starebbe un
cane tra due daini (senza inseguirne alcuno): perciò,
per il fatto che io tacessi, non mi biasimo, né mi
vanto, perché non potevo farne a meno. |
10 |
Io mi tacea,
ma 'l mio disir dipinto
m'era nel viso, e 'l dimandar con ello,
più caldo assai che per parlar distinto. |
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10 |
essendo io premuto in
ugual misura dai miei dubbi (e impedito di fare una
libera scelta). Io me ne stavo zitto, ma il mio
desiderio mi era dipinto in volto. e con il desiderio la
domanda assai più efficace che non se l’avessi espressa
esplicitamente. |
13 |
Fé sì
Beatrice qual fé Danïello,
Nabuccodonosor levando d'ira,
che l'avea fatto ingiustamente fello; |
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13 |
Beatrice agì con me come fece Daniele con Nabucodonosor,
quando lo liberò dall’ira, che l’aveva reso
ingiustamente crudele: |
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Il profeta Daniele, per ispirazione divina, indovinò ed
interpretò un sogno che il re Nabucodonosor aveva fatto
e dimenticato, e che i sapienti babilonesi non
riuscivano a indovinare, per cui il re, adirato, aveva
dato ordine di ucciderli (Daniele II, 1-45). Come
Daniele aveva ricevuto da Dio la rivelazione necessaria,
così Beatrice può leggere in Dio i dubbi che angustiano
Dante. L'aver incontrato Piccarda, Costanza e altre
anime nel cielo della Luna sembra a Dante una conferma
della tesi sostenuta da Platone (Timeo 41 d sgg.),
secondo la quale l'anima preesiste al corpo e dimora in
una stella prima di essere inviata a vivíficare la
materia corporea; dopo la morte dell'individuo ritorna
alla sua stella, se nuove colpe non la condannano a
reincarnarsi in un corpo inferiore. Poiché questa
posizione è assolutamente contraria alla dottrina
cattolica, la quale afferma che l'anima è creata da Dio
quando viene infusa nel corpo, dal quale si separa con
la morte per andare al premio o al castigo meritato,
Beatrice la discute per prima (versi 26-27), esponendo
l'ordinamento morale del Paradiso. |
16 |
e disse: «Io
veggio ben come ti tira
uno e altro disio, sì che tua cura
sé stessa lega sì che fuor non spira. |
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16 |
e disse: “Io vedo
chiaramente come due dubbi (di ugual forza) ti stimolano
a chiedere, in modo che la tua ansia (di risolverli
entrambi) impaccia se stessa così che non riesce a
manifestarsi. |
19 |
Tu argomenti: "Se 'l buon voler dura,
la vïolenza altrui per qual ragione
di meritar mi scema la misura?". |
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19 |
Tu ragioni
così: “Se la buona volontà persevera nel proposito
fatto, per quale motivo la violenza altrui (impedendomi
di osservarlo) mi diminuisce la quantità del merito?” |
22 |
Ancor di
dubitar ti dà cagione
parer tornarsi l'anime a le stelle,
secondo la sentenza di Platone. |
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22 |
Ti dà motivo di ulteriore dubbio il fatto che le anime,
secondo l’opinione di Platone, sembrano ritornare ( dopo
la morte del corpo) nei cieli. |
25 |
Queste son
le question che nel tuo velle
pontano igualmente; e però pria
tratterò quella che più ha di felle. |
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25 |
Questi sono i dubbi che premono con uguale forza sulla
tua volontà; e pertanto risponderò prima a quello che è
più pericoloso. |
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Le parole di Beatrice - queste son le question e pria
tratterò quella... - autorizzano il lettore ad aspettare
una sottile indagine filosofico-morale intorno ai due
dubbi di Dante. E in effetti il contenuto del canto IV è
squisitamente dottrinale, così che la trepida figura di
Piccarda e la luce della gran Costanza sembrano davvero
svanite come per acqua cupa cosa grave, senza lasciare
traccia. Anche l'immagine folgorante di luce e di amore
di Beatrice, con la quale si era chiusa il canto
precedente, lascia il posto a una figura rigidamente
chiusa nelle sue argomentazioni, che affronta per Dante
il problema delle anime che hanno mancato
nell'adempimento dei voti. Tuttavia questa impressione
di austerità dottrinale, che neppure le tre metafore
iniziali, di accentuato vigore drammatico, riescono ad
ammorbidire, è destinata a scomparire nelle terzine
seguenti, le quali, se ricorderanno appena Piccarda e
Costanza, riproporranno tuttavia la luminosa figura di
Beatrice (versi 118-120 e 139-140) e lo smarrimento
contemplativo di Dante (versi 141-142): due elementi di
sicura vibrazione lirica tutte le volte che appaiono
nella trama del Paradiso. Non è una poesia di sicura
presa, che svolga con decisione e continuità il motivo
sentimentale-psicologico-affettivo che Dante ha
presentato in tante pagine dell'Inferno e del
Purgatorio, e che è tornato a riproporre nel canto III
del Paradiso, e nemmeno una poesia che faccia perno su
una figura monografica o su un intenso svolgimento
dell'azione. I due interlocutori appaiono immobili, non
c'è intorno danza o canto di beati, i loro interventi si
susseguono nel ritmo della domanda e risposta, eppure le
loro parole rivelano una disposizione interiore
eccezionale: Dante tutto teso alla conquista della
suprema verità, Beatrice trasfigurata dalla gioia di chi
sa di comunicare la verità. A un'altra manifestazione -
diversa da quella di Piccarda, meno adatta a toccare le
corde del cuore, ma non per questo meno valida - del
senso e dell'ansia del divino che strutturano la
cantica. Questa tensione spirituale, per cui la
conquista della verità è presentata come lotta, come
drammatico «rampollare» di dubbi (cfr. versi 130-132),
spiega il linguaggio attivo che caratterizza il canto,
il procedere immediato e sicuro, la chiarezza e la forza
del singolo termine, capace di racchiudere, nel suo
breve giro, il significato di un intero concetto.
Infatti, nella misura in cui nei beati i lineamenti del
corpo si assottigliano, i ricordi terreni si dissolvono,
e la presenza del tema filosofico e mistico diventa
predominante, subentra nel Poeta la preoccupazione di
sostenere con la materialità e la concretezza del
linguaggio un mondo che altrimenti diverrebbe troppo
sfumato o troppo astratto. |
28 |
D'i Serafin
colui che più s'india,
Moïsè, Samuel, e quel Giovanni
che prender vuoli, io dico, non Maria, |
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28 |
Quello dei Serafini che
sta più vicino a Dio, Mosè, Samuele, e quello dei due
Giovanni che preferisci, e neppure, dico, la Vergine
Maria, |
31 |
non hanno in
altro cielo i loro scanni
che questi spirti che mo t'appariro,
né hanno a l'esser lor più o meno anni; |
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31 |
hanno la loro sede in un
cielo diverso da quello dove risiedono questi spiriti
che ti sono apparsi or ora, né è stato assegnato alla
loro beatitudine un numero maggiore o minore di anni; |
34 |
ma tutti
fanno bello il primo giro,
e differentemente han dolce vita
per sentir più e men l'etterno spiro. |
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34 |
ma tutti quanti i beati
adornano l’Empireo, il primo cielo, e godono della
beatitudine in misura diversa secondo la loro capacità
di sentire più o meno intensamente l’amore divino. |
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I Serafini sono il coro angelico più vicino a Dio e
presiedono alla guida del Primo Mobile. Mosè fu il più
grande condottiero e legislatore del popolo eletto, e
Samuele il profeta ispirato da Dio a istituire la
monarchia tra gli Ebrei. Giovanni può essere o il
Battista, che preparò la strada alla venuta di Cristo, o
l'Evangelista, il prediletto fra gli apostoli. Tutte le
anime - afferma Beatrice - hanno la loro sede effettiva
nell'Empireo, il grande anfiteatro celeste che Dante
presenterà negli ultimi canti, e sulle cui scalinate
siedono, in contemplazione eterna di Dio, i beati. Nel
paradiso non possono, infatti, esistere le
corrispondenze e le simmetrie che hanno caratterizzato,
sotto il profilo morale e geografico, i due regni
precedenti, "e così doveva essere, data la concezione
cristiana della salvazione. Per salvarsi basta esser
morto in pentimento sincero dei propri peccati"(Porena).
Tuttavia il Poeta ha già affermato che se le anime
beate, soggettivamente parlando, godono di un uguale
grado di beatitudine, da un punto di vista oggettivo la
loro beatitudine, a seconda dei meriti, è diversa (canto
III, versi 70-90): nell'Empireo essa sarà rappresentata
dalla distribuzione dei beati nelle scalinate degradanti
dell'anfiteatro. "Ma se con ciò era a posto il teologo,
non altrettanto era soddisfatto l'artista: a cui troppo
doveva dolere che la terza cantica avesse a discordare
tanto dalla bella varietà articolata delle prime due. A
ristabilire una certa somiglianza, ricorse allo
espediente d'immaginare che via via che egli e Beatrice,
nella loro ascesa all'Empireo, attraversano una delle
sfere celesti, un gruppo di beati si parta dal paradiso
e vada a incontrarli. In tal modo le sfere si popolano
anch'esse, e poiché il poeta immagina che le anime che
scendono nei vari cieli siano quelle che in terra hanno
subìto l'influsso del cielo corrispondente, ecco che le
schiere che successivamente egli incontra vengono a
costituire aggruppamenti psicologici simili in certo
modo a quelli dei primi due regni. E con questo
espediente otteneva un altro grande vantaggio. In quel
suo paradiso teologicamente concepito, ove le anime,
tutte in presenza di Dio, sono interamente assorbite
nella eterna contemplazione divina, sarebbe stato assai
sconveniente che egli potesse. come nei primi due
regni,. intrecciare colloqui coi singoli spiriti,
parlando di persone e cose terrene; e gli sarebbe
mancata anche la possibilità materiale di andarsi
aggirando per quei circoli e per quelle scalee.
Distaccando successivamente dall'Empireo i vari gruppi
d'anime che gli scendono incontro, con quei gruppi
staccati e in regioni celesti separate può invece aver
luogo quel contatto e quello scambio di discorsi che
avviene nei cerchi infernali e in quelli del purgatorio;
e anche una certa varietà scenografica di presentazione
e d'ambiente. Così, dunque, rientra nella terza cantica
quella simmetria con le due prime che la pura concezione
teologica escludeva; e Dante ottiene l'effetto di
appagare col suo Empireo le esigenze teologiche, e con
gli altri cieli le esigenze poetiche. Il primo è il vero
paradiso teologico, ed è quello che dura eternamente e
ci rappresenta la vera condizione delle anime beate; il
secondo è meramente transitorio ed eccezionale... La
discesa dei vari gruppi di anime nei vari cieli ha un
altro vantaggio: quello di poterci rappresentare una
forma di psicologia e di beatitudine paradisiaca meno
trascendentale di quella dei beati dell'Empireo."(Porena) |
37 |
Qui si
mostraro, non perché sortita
sia questa spera lor, ma per far segno
de la celestïal c'ha men salita. |
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37 |
(Gli spiriti che hai
visto) ti apparvero nel cielo della Luna, non perché sia
loro assegnata in sorte questa sfera, ma per darti un
segno sensibile del loro grado di beatitudine che è
l’ultimo nel cielo Empireo. |
40 |
Così parlar
conviensi al vostro ingegno,
però che solo da sensato apprende
ciò che fa poscia d'intelletto degno. |
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40 |
Con segni sensibili
occorre parlare alla vostra intelligenza, perché solo
dalla percezione sensibile essa apprende le immagini che
poi trasforma in concetti. |
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In questa affermazione è implicito uno dei fondamentali
e più luminosi principi dell'arte di Dante: basare cioè
il mondo della fantasia sul concreto, sul reale (cfr.
Paradiso, XVII, 139 sgg.); il che egli ha fatto
mirabilmente nella Commedia in cui è riuscito a dare
definita concretezza, e con una stupefacente levità,
anche al regno del puro spirito."(Grabber) |
43 |
Per questo
la Scrittura condescende
a vostra facultate, e piedi e mano
attribuisce a Dio e altro intende; |
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43 |
Per questo la Sacra
Scrittura s’adatta alla vostra capacita, e attribuisce a
Dio piedi e mani, intendendo alludere ad altro (cioè
agli attributi spirituali della divinità; |
46 |
e Santa
Chiesa con aspetto umano
Gabrïel e Michel vi rappresenta,
e l'altro che Tobia rifece sano. |
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46 |
e la Santa Chiesa vi
rappresenta con figura umana Gabriele e Michele, e
l’altro arcangelo, Raffaele, che guari Tobia. |
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Dante accenna, nel verso 48, all'arcangelo Raffaele, che
accompagnò il giovane Tobia in un lungo viaggio, lo
protesse, e al ritorno fece guarire dalla cecità il
vecchio Tobia (cfr. Tobia III, 16-17; V, 4 sgg.; VI, 1
sgg.). |
49 |
Quel che
Timeo de l'anime argomenta
non è simile a ciò che qui si vede,
però che, come dice, par che senta. |
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49 |
Ciò che (Platone) dice nel
Timeo intorno alla sorte delle anime non è conforme a
ciò che si vede nel cielo della Luna, poiché pare che
intenda proprio in senso letterale (quello che afferma). |
52 |
Dice che
l'alma a la sua stella riede,
credendo quella quindi esser decisa
quando natura per forma la diede; |
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52 |
Platone sostiene che
l’anima (dopo la morte ) ritorna alla sua stella, poiché
crede che essa sia stata staccata da li quando la natura
l’assegnò al corpo come principio informatore; |
55 |
e forse sua
sentenza è d'altra guisa
che la voce non suona, ed esser puote
con intenzion da non esser derisa. |
|
55 |
ma forse la sua opinione è
diversa da quello che significano, letteralmente, le sue
parole, e può darsi che egli sostenga un principio che
non meriti di essere deriso. |
58 |
S'elli
intende tornare a queste ruote
l'onor de la influenza e 'l biasmo, forse
in alcun vero suo arco percuote. |
|
58 |
Se egli intende far
risalire a questi cieli il merito e il biasimo degli
influssi buoni e cattivi sulle anime, forse il suo
pensiero coglie in parte la verità. |
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In quattro concise terzine, nelle quali la forza
didascalica del discorso di Beatrice assume un tono
suasivo più che polemico, Dante respinge la dottrina
platonica della presenza delle anime nei singoli cieli:
infatti quello che appare nella sfera della Luna è
finzione, mentre sembra che le affermazioni contenute
nel dialogo platonico Timeo debbano essere intese alla
lettera. Tuttavia, anche qui, come già nel Convivio (IV,
XXI, 2-3), il Poeta opera un tentativo di conciliazione
con il pensiero di Platone, avanzando l'ipotesi che le
espressioni del Timeo non intendano riferirsi a un vero
e proprio ritorno dell'anima al cielo da cui era
discesa, ma agli influssi, benefici o malefici,
esercitati dai corpi celesti sulle anime. Riguardo a
questa dottrina Dante (cfr. Purgatorio XVI, 73-78)
riconosce, come del resto tutto il Medioevo, che le
influenze astrali determinano nell'uomo le inclinazioni
naturali. |
61 |
Questo
principio, male inteso, torse
già tutto il mondo quasi, sì che Giove,
Mercurio e Marte a nominar trascorse. |
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61 |
Questa dottrina degli
influssi celesti, male intesa nel suo significato, un
tempo fece errare quasi tutto il mondo, tanto che questo
giunse a chiamare gli astri col nome di Giove, Mercurio
e Marte. |
64 |
L'altra
dubitazion che ti commove
ha men velen, però che sua malizia
non ti poria menar da me altrove. |
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64 |
L’altro dubbio che ti
turba è meno pericoloso, poiché l’errore che può
derivare da esso non ti potrebbe allontanare da me (cioè
dalla vera fede). |
67 |
Parere
ingiusta la nostra giustizia
ne li occhi d'i mortali, è argomento
di fede e non d'eretica nequizia. |
|
67 |
Che la giustizia divina
possa sembrare ingiusta agli occhi dei mortali, è motivo
di fede e non di iniquo atteggiamento di eresia. |
70 |
Ma perché
puote vostro accorgimento
ben penetrare a questa veritate,
come disiri, ti farò contento. |
|
70 |
Ma poiché il vostro
intelletto può ben giungere a comprendere questa verità
(sui voti inadempiuti), ti accontenterò, dandoti la
spiegazione che tu desideri. |
73 |
Se vïolenza
è quando quel che pate
nïente conferisce a quel che sforza,
non fuor quest' alme per essa scusate: |
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73 |
Se si ha vera violenza
solo quando chi la subisce non asseconda minimamente
colui che la compie, queste anime non possono essere
giustificate completamente a causa di tale violenza, |
76 |
ché volontà,
se non vuol, non s'ammorza,
ma fa come natura face in foco,
se mille volte vïolenza il torza. |
|
76 |
perché, se non vuole, la
volontà non si piega, ma si comporta come fa la natura
nella fiamma ( che tende sempre ad andare verso l’alto). |
79 |
Per che,
s'ella si piega assai o poco,
segue la forza; e così queste fero
possendo rifuggir nel santo loco. |
|
79 |
anche se una forza
violenta cerca di piegarla verso il basso. Per cui, se
la volontà cede, o di molto o di poco, asseconda la
violenza; e così fecero queste anime ( cioè si piegarono
alla violenza), mentre avrebbero potuto ritornare nel
chiostro. |
|
Prima di spiegare il dubbio dei suo discepolo di fronte
al problema della volontà umana che soggiace alla
violenza, Beatrice premette che alcune volte le
decisioni divine appaiono frutto di ingiustizia, più che
di giustizia e di amore, perché la mente umana non
riesce a penetrare il mistero delle disposizioni di Dío.
La volontà dell'uomo ha in sé la possibilità di opporsi,
in ogni momento, alla violenza, la quale è tale solo,
quando chi la subisce non collabora per nulla all'azione
di chi la compie, non arrendendosi mai: questa volontà è
la salda forza interiore dei martiri e degli eroi (versi
83-84). Invece le anime del cielo della Luna, che
avrebbero potuto opporsi alla violenza compíuta su di
loro, ritornando alla vita del chiostro (versi 85-86),
non trovarono il coraggio sufficiente per farlo. Nella
lucidissima spiegazione di Beatrice non sono rari i
momenti di vigore poetico, soprattutto quando
l'argomento è di quelli che impegnano in modo tutto
particolare il mondo morale del Poeta. Il momento di
maggiore accensione lirica del canto, oltre che nelle
terzine finali, dove limpido ed efficace si alza il
canto di ringraziamento a Beatrice, è nei versi 76-78,
dove "tutto è volontà e fiamma... sì che, mentre
trionfale splende l'immagine del foco anelante di
salire, una forza dura martella certe parole in cui più
in particolare s'incide l'incoercibile potenza del
volere: ché volontà, se non vuol, non s'ammorza... se
mille volte violenza, il torza. Il primo verso, col suo
ritmo cadenzato e spostato sulla settima [sillaba], è il
più fieramente battuto e in esso due volte torna
l'immagine del volere: volontà... vuol. E' questa la più
alta e fiera celebrazione della umana volontà: adeguata
all'anima di chi sentì la vita e ogni suo ideale come
lotta ed eroismo di fede" (Grabber). |
82 |
Se fosse
stato lor volere intero,
come tenne Lorenzo in su la grada,
e fece Muzio a la sua man severo, |
|
82 |
Se la loro volontà fosse
stata salda, come quella che tenne San Lorenzo immobile
sulla graticola, e quella che rese Muzio Scevola
inesorabile con la propria mano (tenendola sul fuoco), |
85 |
così l'avria
ripinte per la strada
ond' eran tratte, come fuoro sciolte;
ma così salda voglia è troppo rada. |
|
85 |
certamente le avrebbe
spinte a ripercorrere la strada dalla quale erano state
sviate, non appena furono libere (dalla violenza
materiale); ma una volontà così salda è molto rara. |
|
Lorenzo è il santo diacono romano martirizzato nel 258.
Posto su una graticola, ebbe la forza di chiedere ai
suoi carnefici di essere girato dall'altra parte, poiché
su un fianco il fuoco aveva compiuto la sua opera.
All'esempio cristiano segue quello pagano di Muzio
Scevola, il leggendario soldato romano che lasciò
bruciare sul fuoco la mano destra, per punirla di aver
fallito nel colpire il re etrusco Porsenna, che cingeva
d'assedio Roma. |
88 |
E per queste
parole, se ricolte
l'hai come dei, è l'argomento casso
che t'avria fatto noia ancor più volte. |
|
88 |
E da queste parole, se le
hai assimilate dentro di te come devi, risulta annullato
il tuo ragionamento che ti avrebbe procurato turbamento
molte altre volte ancora. |
91 |
Ma or ti
s'attraversa un altro passo
dinanzi a li occhi, tal che per te stesso
non usciresti: pria saresti lasso. |
|
91 |
Ma ora ti si pone davanti
alla mente un’altra difficoltà, tale, che con le tue
sole forze non saresti in grado di superare: ti
stancheresti prima. |
94 |
Io t'ho per
certo ne la mente messo
ch'alma beata non poria mentire,
però ch'è sempre al primo vero appresso; |
|
94 |
Io ti ho fatto capire come
cosa certa che un anima beata non può mentire, poiché
essa è sempre vicina a Dio, la verità suprema; |
97 |
e poi
potesti da Piccarda udire
che l'affezion del vel Costanza tenne;
sì ch'ella par qui meco contradire. |
|
97 |
e dopo questo
hai potuto udire da Piccarda che Costanza mantenne salda
la volontà di osservare il voto; cosi che sembra che le
sue parole in questo punto siano in contraddizione con
le mie. |
100 |
Molte fïate
già, frate, addivenne
che, per fuggir periglio, contra grato
si fé di quel che far non si convenne; |
|
100 |
Fratello, è
già accaduto molte volte che, per fuggire un danno, si
sia fatto a malincuore qualche cosa che non si sarebbe
dovuto fare; |
103 |
come Almeone,
che, di ciò pregato
dal padre suo, la propria madre spense,
per non perder pietà si fé spietato. |
|
103 |
come Almeone, il quale, pregato di
questo dal padre, uccise la propria madre, e così, per
non mancare all’obbligo della pietà filiale (verso il
padre), divenne spietato (verso la madre). |
|
|
106 |
A questo
punto voglio che tu pense
che la forza al voler si mischia, e fanno
sì che scusar non si posson l'offense. |
|
106 |
Quando: si giunge a questo
punto (cioè al punto di commettere il male per fuggire
un altro male! voglio che tu comprenda che la violenza
altrui si mescola alla volontà (di chi la subisce), e
(così unite) fanno si che non si possano scusare (come
involontarie) le offese a Dio. |
109 |
Voglia
assoluta non consente al danno;
ma consentevi in tanto in quanto teme,
se si ritrae, cadere in più affanno. |
|
109 |
La volontà assoluta non
acconsente al male; ma vi acconsente solo in quanto
teme, se si trae indietro, di provocare un male
peggiore. |
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Dopo aver affermato, in un verso che ha la saldezza di
una sentenza morale (verso 87), che pochi sono capaci di
giungere a quella volontà eroica che mai s'ammorza,
Beatrice spiega la apparente contraddizione fra le
parole di Piccarda (Costanza, anche uscita dal chiostro,
conservò nel suo intimo il voto fatto) e le sue (le
anime del primo cielo non si opposero completamente alla
violenza). Ancora una volta le sue affermazioni sono
desunte dalla Scolastica: esiste una volontà assoluta,
che di per sé non vuole il male, e una volontà relativa
o respettiva, la quale può piegarsi a un male per
evitarne uno maggiore: "può l'uomo volere con volontà
respettiva quel che non vorrebbe secondo la volontà
assoluta" (Buti). Così le anime del cielo della Luna,
per timore della violenza, che giudicavano il maggior
danno per sé, si piegarono al male, consentendo ad
abbandonare i voti fatti. Piccarda, allorché sostiene
che Costanza restò legata al suo voto per tutta la vita,
intende parlare di volontà assoluta, mentre Beatrice si
riferisce solo a quella relativa. |
112 |
Però, quando
Piccarda quello spreme,
de la voglia assoluta intende, e io
de l'altra; sì che ver diciamo insieme». |
|
112 |
Perciò, quando Piccarda
afferma quello, intende riferirsi alla volontà assoluta,
e io invece all’altra; cosicché entrambe diciamo la
verità”. |
115 |
Cotal fu
l'ondeggiar del santo rio
ch'uscì del fonte ond' ogne ver deriva;
tal puose in pace uno e altro disio. |
|
115 |
Questo fu lo svolgimento
del santo discorso (paragonato a un ruscello, rio) che
uscì dalla sorgente (Dio) dalla quale deriva ogni
verità; ed esso risolse entrambi i miei dubbi. |
118 |
«O amanza
del primo amante, o diva»,
diss' io appresso, «il cui parlar m'inonda
e scalda sì, che più e più m'avviva, |
|
118 |
Io poi dissi: “O amata da
Dio, primo amore, o creatura divina, le cui parole mi
attraversano e mi riscaldano con tale intensità, che mi
vivificano sempre di più, |
121 |
non è l'affezion
mia tanto profonda,
che basti a render voi grazia per grazia;
ma quei che vede e puote a ciò risponda. |
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121 |
il mio sentimento di
gratitudine (per quanto grande) non può bastare a
ringraziarvi del dono da voi ricevuto; ma Colui che
tutto vede e tutto può vi ricompensi. |
124 |
Io veggio
ben che già mai non si sazia
nostro intelletto, se 'l ver non lo illustra
di fuor dal qual nessun vero si spazia. |
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124 |
Io ben comprendo che mai
la nostra mente può saziarsi, se non è illuminata da
quella verità al di fuori della quale non può esistere
nessun altro vero. |
127 |
Posasi in
esso, come fera in lustra,
tosto che giunto l'ha; e giugner puollo:
se non, ciascun disio sarebbe frustra. |
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127 |
Appena ha raggiunto questa
verità, la nostra mente si riposa in essa come la fiera
(si riposa, sazia) nella sua tana; e la può raggiungere:
altrimenti (se non), ogni nostro desiderio (di possedere
la verità) sarebbe vano. |
130 |
Nasce per
quello, a guisa di rampollo,
a piè del vero il dubbio; ed è natura
ch'al sommo pinge noi di collo in collo. |
|
130 |
Per questo desiderio il
dubbio spunta ai piedi della verità, come un germoglio
alla radice della pianta; ed e un impulso naturale
quello che ci spinge a salire di colle in colle fino
alla vetta suprema. |
133 |
Questo
m'invita, questo m'assicura
con reverenza, donna, a dimandarvi
d'un'altra verità che m'è oscura. |
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133 |
Questo fatto (il dubbio
come impulso per la conquista del vero ) mi invita,
questo mi dà coraggio, o donna, a chiedervi umilmente la
spiegazione di un’altra verità che mi è oscura. |
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Mentre il verso 118 rivela il gusto, tipicamente
medievale, di accostare parole simili (amanza...
amante), quelli seguenti sono costruiti secondo il più
vigoroso e schietto stile dantesco, ricco di metafore
dall'ampio valore espressivo, nelle quali il discorso
sul problema del sapere si trasforma in senso visivo: le
parole di Beatrice «inondano» l'animo del Poeta, la
verità suprema lo illustra, « spaziando » ovunque,
facendo nascere un desiderio insaziato di conoscenza,
per cui da ogni singola verità raggiunta « rampolla » il
desiderio di procedere ulteriormente. In questi versi,
traduzione poetica di un passo del Convivio (IV, XIII,
1-2: "lo desiderio de la scienza non è sempre uno, ma è
molti, e finito l'uno, viene l'altro; sì che,
propriamente parlando. non è crescere lo suo dilatare,
ma successione di picciola cosa in grande cosa... e
questo cotale dilatare non è cagione d'imperfezione, ma
di perfezione maggiore"), Dante trasfonde "il fecondo
processo dello spirito; il quale, attraverso errori e
dubbi, si tormenta per raggiungere la vera sapienza che,
e qui l'immagine ci leva dalla terra verso il cielo
richiamando anche si spazia (verso 126), non conosce
bassure bensì vette sempre più ardue ed eccelse, fino al
sommo dove l'uomo anela di congiungersi a Dio. Abbiamo
visto prima la volontà come fiamma saliente e
incoercibile (versi 73-78) e qui, in una profonda
austerità di meditazione, abbiamo la verità e
l'intelletto drammatizzati in potentissime immagini;
poiché anche il vero e l'assidua lotta per raggiungerlo,
sono per Dante passione viva e motivo della più alta
poesia: quella stessa che accende, in tanta parte, la
presunta astrattezza del Paradiso" (Grablier). |
136 |
Io vo' saper
se l'uom può sodisfarvi
ai voti manchi sì con altri beni,
ch'a la vostra statera non sien parvi». |
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136 |
Desidero sapere se l’uomo
può compensare al vostro cospetto i voti inadempiuti
commutandoli con altre opere buone, tali che, pesate
sulla bilancia della vostra giustizia, non sembrino
piccole”. |
139 |
Beatrice mi
guardò con li occhi pieni
di faville d'amor così divini,
che, vinta, mia virtute diè le reni, |
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139 |
Beatrice mi guardò con gli
occhi così divinamente pieni di sfavillante amore, che
la mia facoltà visiva, vinta, dovette distogliersi da
lei, |
142 |
e quasi mi
perdei con li occhi chini. |
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142 |
e chinando i miei occhi
quasi venni meno. |
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