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DIVINA
COMMEDIA: PARAFRASI
PARADISO
CANTO XVII° |
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1 |
Qual venne a Climenè, per accertarsi
di ciò ch'avëa incontro a sé udito,
quei ch'ancor fa li padri ai figli scarsi; |
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1 |
Come Fetonte, l’esempio del quale rende
ancor oggi i padri restii a indulgere alle richieste dei
figli, andò dalla madre Climene, desideroso di
accertarsi se era vero ciò che aveva udito contro di se; |
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Fetonte, avendo udito da Epafo (suo coetaneo e figlio di
Giove), che egli non era figlio di Apollo, dio del sole;
volle sapere dalla madre Climene la verità sulla sua
nascita. Allora Apollo, per persuaderlo, gli concesse di
guidare per un giorno il carro del sole e questo fatto
fu poi causa della morte di Fetonte (cfr. Inferno XVII,
106-108; Ovidio, Metamorfosi I, 747 sgg.). |
4 |
tal era io, e tal era sentito
e da Beatrice e da la santa lampa
che pria per me avea mutato sito. |
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4 |
così ero io ansioso di sapere, e questo
stato d’animo era avvertito e da Beatrice e dall’anima
santa di Cacciaguida, che prima per parlare con me aveva
cambiato posto (scendendo ai piedi della croce
luminosa). |
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Anche Dante, come Fetonte, è ansioso di conoscere la
spiegazione di quanto ha udito incontro a sé da Farinata
(Inferno X, 79-81 ), Brunetto Latini ( Inferno XV, 61-72
), Vanni Pucci ( Inferno XXIV, 140-151), Oderisi da
Gubbio (Purgatorio XI, 139-141). |
7 |
Per che mia donna «Manda fuor la vampa
del tuo disio», mi disse, «sì ch'ella esca
segnata bene de la interna stampa: |
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7 |
Perciò la mia donna mi
disse: “ Esprimi il tuo ardente desiderio, in modo che
l’intensità interiore appaia bene evidente esternamente, |
10 |
non perché nostra conoscenza cresca
per tuo parlare, ma perché t'ausi
a dir la sete, sì che l'uom ti mesca». |
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10 |
non già perché la nostra
conoscenza aumenti per le tue parole, ma perché ti
abitui ad esprimere la sete del tuo desiderio, Così che
gli altri ti possano appagare”. |
13 |
«O cara piota mia che sì t'insusi,
che, come veggion le terrene menti
non capere in trïangol due ottusi, |
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13 |
“O cara radice della mia famiglia, che t’innalzi così in
alto, che, come la mente dei mortali vede che due angoli
ottusi non possono essere contenuti in un triangolo, |
16 |
così vedi le cose contingenti
anzi che sieno in sé, mirando il punto
a cui tutti li tempi son presenti; |
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16 |
con la stessa chiarezza
discerni le cose che possono essere o non essere prima
che esistano in atto contemplando la divina essenza, il
punto in cui tutti i tempi sono presenti, |
19 |
mentre ch'io era a Virgilio congiunto
su per lo monte che l'anime cura
e discendendo nel mondo defunto, |
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19 |
mentre
seguivo Virgilio su per il monte del purgatorio che
purifica le anime e mentre discendevo nel mondo dei
dannati, |
22 |
dette mi fuor di mia vita futura
parole gravi, avvegna ch'io mi senta
ben tetragono ai colpi di ventura; |
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22 |
mi furono dette parole preoccupanti riguardo alla mia
vita futura, sebbene io mi senta incrollabile (
tetragono: il termine indica ogni figura geometrica
dotata di quattro angoli e, in particolare, il cubo), di
fronte ai colpi della fortuna (di ventura); |
25 |
per che la voglia mia saria contenta
d'intender qual fortuna mi s'appressa:
ché saetta previsa vien più lenta». |
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25 |
perciò l’animo mio è ansioso di conoscere quale sorte mi
viene incontro, perché il colpo previsto sembra avanzare
più lentamente”. |
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Su uno sfondo pervaso di passione morale ( l'immagine
dell'antica Firenze presentata al mondo come modello
dell'invocato rinnovamento) e di note intime del cuore
(la dolorosa meditazione sulla sua travagliata sorte),
si profila ora la figura stessa del Poeta, la cui storia
ha un inizio preciso ( tu lascerai ogni cosa diletta più
caramente), con vicende ben determinate (il pianto del
distacco: tal di Fiorenza partir ti convene; l'amarezza
del mendicare: tu proverai si come sa di sale lo pane
altrui; il peso dell'incomprensione e della diffidenza:
quel che più ti graverà le spalle, sarà la compagnia
malvagia e scempia; la prova cruciale della solitudine:
averti fatta parte per te stessso), per sublimarsi poi
nella certezza di una missione morale (versi 124-135) e
di un futuro di gloria ( verso 98 ). Il contrasto fra la
Firenze di un tempo e la Firenze presente, delineato nei
due canti precedenti, è "la sottintesa ragione del
dramma della sua vita di cittadino e della catastrofe
con la quale per allora si era chiusa: l'esilio. E
l'esilio, con l'angoscia del distacco, con la povertà,
con la compagnia malvagia e scempia, con le umiliazioni,
e insieme coi lenimenti che buoni soccorritori vi
apportano, è delineato a grandi tratti da un animo
sensibilissimo, che soffre di tutte le punture... ma
tutte le sostiene e contiene: ben tetragono ai colpi di
ventura. Le sostiene per quella dignità di se medesimo
della quale è costantemente compreso, per quella
speranza che è anche maggiore dell'altra, affatto
privata e contingente, del ritorno nella sua città, la
speranza dell'immortalità e della gloria,
dell'approvazione e lode dei di futuri. Egli, come tutti
i grandi, vive, più assai che nel presente, nel
futuro..." (Croce). |
28 |
Così diss' io a quella luce stessa
che pria m'avea parlato; e come volle
Beatrice, fu la mia voglia confessa. |
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28 |
Cosi io dissi a quella
luce che prima mi aveva parlato; e manifestai il mio
desiderio come aveva voluto Beatrice. |
31 |
Né per ambage, in che la gente folle
già s'inviscava pria che fosse anciso
l'Agnel di Dio che le peccata tolle, |
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31 |
Non con oracoli oscuri,
nei quali un tempo si invischia, vano le genti pagane
prima che fosse ucciso Gesù, l’Agnello di Dio che
riscatto i peccati del mondo, |
34 |
ma per chiare parole e con preciso
latin rispuose quello amor paterno,
chiuso e parvente del suo proprio riso: |
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34 |
ma con parole chiare e con
preciso linguaggio mi rispose quel padre amoroso,
avvolto nella sua luce e visibile a causa della sua
letizia: |
37 |
«La contingenza, che fuor del quaderno
de la vostra matera non si stende,
tutta è dipinta nel cospetto etterno; |
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37 |
“Ciò che può essere o non
essere, che non oltrepassa la sfera del vostro mondo
materiale ( perché nel mondo divino esiste solo l’eterno
e il necessario), è tutto presente nel pensiero di Dio; |
40 |
necessità però quindi non prende
se non come dal viso in che si specchia
nave che per torrente giù discende. |
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40 |
tuttavia non per questo
ciò che è contingente diventa necessario, così come una
nave che discende lungo la corrente (può essere
osservata, ma) non deriva il suo moto dall’occhio nel
quale si specchia. |
43 |
Da indi, sì come viene ad orecchia
dolce armonia da organo, mi viene
a vista il tempo che ti s'apparecchia. |
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43 |
Dalla visione del pensiero
eterno di Dio così come dall’organo giunge all’orecchio
una dolce armonia, mi viene davanti agli occhi il futuro
che ti si prepara. |
46 |
Qual si partio Ipolito d'Atene
per la spietata e perfida noverca,
tal di Fiorenza partir ti convene. |
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46 |
Come Ippolito se ne andò
da Atene per le calunnie della spietata e perfida
matrigna, così tu dovrai andartene da Firenze. |
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Ippolito, figlio di Teseo, avendo respinto le offerte
amorose della matrigna Fedra, fu da questa accusato di
aver tentato di sedurla; il padre, maledicendolo, lo
scacciò da Atene (cfr. Ovidio - Metamorfosi XV, 497
sgg.). |
49 |
Questo si vuole e questo già si cerca,
e tosto verrà fatto a chi ciò pensa
là dove Cristo tutto dì si merca. |
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49 |
Questo si desidera e questo già si
cerca di attuare, e presto sarà fatto da parte di chi
ordisce tali macchinazioni là (nella curia pontificia)
dove ogni giorno si fa mercato della religione. |
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Bonifacio VIII da tempo era intervenuto nella vita
politica fiorentina, aiutando le mire dei Neri contro i
Bianchi, il partito al quale Dante apparteneva. Il
Poeta, sia come priore sia come membro dei vari Consigli
della città, si era opposto con decisione ai piani del
pontefice, che minacciavano la pace del comune. Come
rivelano chiaramente le parole di Cacciaguida
(l'osservazione è del Chimenz), Dante ha la convinzione
di essere stato vittima di una personale animosità del
pontefice contro di lui.
Tosto verrà fatto:
Dante lascio Firenze alla fine dell'ottobre 1301 con l'abasceria
inviata dalla città a Bonifacio VIII per chiedere
assicurazioni in occasione della discesa in Italia di
Carlo di Valois. Dopo l'entrata del principe francese a
Firenze (1novembre 1301), Dante probabilmente non
ritornò più nella sua città. La sentenza del 27 gennaio
1302 lo condannava a pagare cinquemila fiorini, a due
anni di confino, all'esclusione perpetua da qualunque
ufficio. fu confermata il 10 marzo 1302, con un bando
che comminava a Dante anche la pena di morte. |
52 |
La colpa seguirà la parte offensa
in grido, come suol; ma la vendetta
fia testimonio al ver che la dispensa. |
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52 |
La colpa, come al solito, sarà
attribuita dall’opinione pubblica alla parte vinta, ma
la punizione darà testimonianza della verità, la quale
assegna giustamente i suoi castighi. |
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La voce pubblica, come accade di solito, attribuirà la
colpa delle discordie civili ai vinti, ma la giustizia
divina si abbatterà sui veri colpevoli. La profezia,
alla quale il Poeta conferisce un tono volutamente
indeterminato, allude ai tristi eventi che funestarono
Firenze e il partito dei Neri dopo la cacciata dei
Bianchi e, in particolare, alla misera fine dei suoi due
implacabili nemici, Corso Donati ( cfr. Purgatorio XXIV,
82-90) e Bonifacio VIII (cfr. Purgatorio XX, 86-90). |
55 |
Tu lascerai ogne cosa diletta
più caramente; e questo è quello strale
che l'arco de lo essilio pria saetta. |
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55 |
Tu dovrai lasciare ogni
cosa più cara; e questo è il colpo doloroso che prima di
tutto ti infliggerà l’esilio. |
58 |
Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e 'l salir per l'altrui scale. |
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58 |
Tu proverai quanto sia
amaro il pane chiesto agli altri, e quanto sia duro
cammino scendere e salire le scale delle case; altrui. |
61 |
E quel che più ti graverà le spalle,
sarà la compagnia malvagia e scempia
con la qual tu cadrai in questa valle; |
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61 |
E quello che ti riuscirà
più gravoso, sarà la compagnia cattiva e sciocca con la
quale ti troverai precipitando in questa miseria; |
64 |
che tutta ingrata, tutta matta ed empia
si farà contr' a te; ma, poco appresso,
ella, non tu, n'avrà rossa la tempia. |
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64 |
essa si volgerà contro di
te piena di ingratitudine, dissennata e piena di odi, ma
poco dopo, essa, non tu, ne avrà le tempie rosse di
sangue. |
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I fuorusciti Bianchi e Ghibellini, unitisi fra di loro,
tentarono a più riprese di ritornare a Firenze con le
armi. Nei documenti di un convegno preparatorio, quello
di San Godenzo nel Mugello (8 giugno 1302), compare
anche il nome di Dante. Subito dopo, però, il Poeta si
allontanò dai compagni di esilio e non prese parte al
tentativo che si concluse con la sanguinosa sconfitta
della Lastra (20 luglio 1304), alla quale,
probabilmente, egli intende riferirsi con l'espressione
n'avrà rossa la tempia. Non conosciamo con esattezza i
motivi che portarono alla rottura fra Dante e gli altri
fuorusciti, sui quali il Poeta esprime qui un giudizio
particolarmente duro, né sappiamo quali colpe essi gli
imputassero per odiarlo al pari dei Neri (cfr. Inferno
XV, 70-72). Il Del Lungo ha avanzato questa ipotesi: "lo
sconforto del suo ritrarsi, la sfiducia nell'opera loro,
il dissenso circa le opportunità dell'operare o
dell'attendere, furono interpretati come defezione, e
quasi come tradimento, dalla compagnia sciagurata". |
67 |
Di sua bestialitate il suo processo
farà la prova; sì ch'a te fia bello
averti fatta parte per te stesso. |
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67 |
Il suo modo di agire costituirà la
prova della sua folle sconsideratezza, così che sarà
motivo di onore per te l’aver fatto partito per te
stesso. |
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L'esilio è certamente il momento centrale e decisivo
della vita di Dante: la sua personalità raggiunge la
piena formazione, il suo spirito si apre ad una più
ampia visione dei problemi umani, la sua forza morale si
tempra nelle difficoltà e nel dolore dell'esule.
L'argomento fondamentale del presente colloquio con
Cacciaguida è l'esilio. Per tale motivo il XVII "fra i
cento del poema si può chiamare il canto di Dante. E' il
canto dell'esilio, della dignità, dell'onestà
imperterrita: ed è la chiave del tono artistico che
assume l'etica della Commedia. La quale è, prima di
tutto, il rifugio di un'anima esulcerata in un mondo di
giustizia, che ristabilisce l'equilibrio rotto in terra
fra virtù e premio, vizio e castigo. Questo duro
atteggiamento di sacerdote della giustizia è solenne e
vibrato più che altrove in questo canto. I primi
ventiquattro versi (46-69) della risposta di
Cacciaguida, quelle rime risolute e gagliarde, quei
periodi monumentalmente isolati, quelle frasi ora quasi
sillabate (49-50, 64) ora tempestose (51, 54) ora
tenacemente ribadite (69) ora rallentate dal rimpianto e
dall'amarezza (55-56, 58-60), quella frenata irruenza,
lo scandiscono maestosamente. Non lasciano l'impressione
d'una vicenda individuale, ma d'un dramma della storia
che si ripercuote nell'alto" (Momigliano). Infatti per
il Poeta, in questo momento, la narrazione delle vicende
del suo esilio non è uno sfogo personale, una pagina
autobiografica fine a se stessa: non si tratta, cioè,
solo del suo caso personale. Si tratta di sapere che
egli con l'esilio incomincerà la sua missione nel mondo.
Cacciaguida non si soffermerebbe sulle sofferenze
transitorie della vita dell'esule, se queste non
costituissero una prova e un presagio. La storia del
Poeta è congiunta, come ogni cosa, ogni personaggio
della Commedia, a una visione escatologica del mondo.
Questa caratteristica costante della narrazione dantesca
spiega la compostezza e fermezza di linee con cui il
Poeta, attraverso un continuo ricorso alla metafora e
alle figurazioni visive, si rivolge al suo dramma umano,
chiarificando la voce delle passioni terrene nell'orbita
del senso del divino: " Il ritmo delle terzine si fa...
staccato e forte, i netti contorni delle cose ci
trasportano in una atmosfera... tesa e chiara. È pur
sempre la solennità paradisiaca, ma provveduta di un
timbro più distinto, proprio quando l'argomento si volge
a delineare un umano destino: ma il destino umano di
Dante è pronunciato da una voce superna e in quel
destino di uomo si compendia la sacra missione di un
rinnovamento del mondo". (Malagoli) |
70 |
Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello
sarà la cortesia del gran Lombardo
che 'n su la scala porta il santo uccello; |
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70 |
Il tuo primo rifugio, la tua prima
dimora ospitale ti sarà offerta dalla liberalità del
grande lombardo che ha per suo stemma una scala
sormontata dall’aquila imperiale; |
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Il gran Lombardo è, secondo la maggior parte dei
commentatori antichi e moderni, Bartolomeo della Scala,
signore di Verona, morto nel marzo 1304 E' perciò da
escludere l'ipotesi di chi ritiene trattarsi del padre
Alberto, morto prima ancora dell'esilio di Dante o del
fratello e successore, Alboino, che il Poeta giudica
severamente in un passo del Convivio (IV, XVI, 6).
Verona, quindi, fu la prima tappa dell'esilio
dell'Alighieri, subito dopo la sua separazione dalla
compagnia malvagia e scempia. Il soggiorno, tuttavia, fu
molto breve, tanto che di esso non è rimasta alcuna
notizia, mentre ben più lungo e importante fu quello
avvenuto durante la signoria di Cangrande.
'N su la scala porta il santo
uccello: lo stemma degli Scaligeri e una
scala in cima alla quale compare l'aquila, l'uccello
santo perché insegna dell'lmpero voluto da Dio. |
73 |
ch'in te avrà sì benigno riguardo,
che del fare e del chieder, tra voi due,
fia primo quel che tra li altri è più tardo. |
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73 |
così benevola sarà la
considerazione che nutrirà nei tuoi riguardi, che, nei
rapporti tra voi due, rispetto all’esaudire un desiderio
e all’esprimerlo, sarà primo (non colui che chiede ma)
colui che esaudisce, il quale, normalmente, agisce dopo
che il primo ha espresso il desiderio. |
76 |
Con lui vedrai colui che 'mpresso fue,
nascendo, sì da questa stella forte,
che notabili fier l'opere sue. |
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76 |
Con Bartolomeo vedrai
Cangrande, colui che, al momento della nascita,
ricevette un così forte influsso da questo cielo, che le
sue azioni diventeranno memorabili. |
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Cangrande, fratello minore di Bartolomeo, nacque il 9
marzo 1291 e dopo essere stato associato al governo da
Alboino nel 1311, alla scomparsa di questo (1312)
divenne signore assoluto di Verona fino al 1329, anno
della sua morte. Egli ricevette con particolare
intensità l'influsso del pianeta Marte, che dispone a
forti imprese in campo militare. |
79 |
Non se ne son le genti ancora accorte
per la novella età, ché pur nove anni
son queste rote intorno di lui torte; |
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79 |
Le genti non si sono
ancora accorte di lui per la sua giovane età, perché i
cieli ruotano intorno a lui solo da nove anni
(Cangrande, infatti, nacque nel 1291 e Dante immagina di
compiere il suo viaggio nell’oltretomba nel 1300); |
82 |
ma pria che 'l Guasco l'alto Arrigo inganni,
parran faville de la sua virtute
in non curar d'argento né d'affanni. |
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82 |
ma prima che il papa
guascone Clemente V inganni l’imperatore Arrigo VII,
appariranno i primi segni della sua virtù nel disprezzo
del denaro e della fatica. |
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Il pontefice Clemente V, originario della Guascogna (cfr.
Inferno XIX, 83), nel 1310 invitò Arrigo VII in Italia
per ristabilirvi l'autorità imperiale. In un secondo
tempo divenne fautore degli interessi della casa
francese degli Angiò, che mirava ad estendere il suo
dominio in Italia, e ostacolò l'imperatore nel suo
tentativo. |
85 |
Le sue magnificenze conosciute
saranno ancora, sì che ' suoi nemici
non ne potran tener le lingue mute. |
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85 |
Le sue splendide imprese saranno allora
così conosciute, che i suoi stessi nemici non le
potranno tacere. |
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Le sue magnificenze conosciute
saranno: tutti i cronisti e gli scrittori del
tempo sono concordi nell'esaltare le doti militari e
politiche di Cangrande della Scala, nonché la sua
liberalità (Villani Cronaca X, 140; Petrarca - Rerum
memorandarum liber 11, 83-84; Boccaccio Decamerone I,
VII, 5 ) . Dante, che fu suo ospite dal 1315 al 1320
circa, vide in lui un possibile restauratore
dell'autorità ghibellina, e quindi imperiale, in Italia,
lodandolo anche nella Epistola XIII, 2-3. |
88 |
A lui t'aspetta e a' suoi benefici;
per lui fia trasmutata molta gente,
cambiando condizion ricchi e mendici; |
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88 |
Affidati a lui e ai suoi
benefici; per opera sua cambierà condizione molta gente,
poiché i ricchi diventeranno poveri e i poveri
diventeranno ricchi. |
91 |
e portera'ne scritto ne la mente
di lui, e nol dirai»; e disse cose
incredibili a quei che fier presente. |
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91 |
Porterai scolpite nella
tua memoria queste cose che lo riguardano, ma non le
dirai”; e rivelò fatti incredibili persino per coloro
che li vedranno accadere. |
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Dopo che gli amori, gli odi, i dolori dell'esilio si
sono risolti e assommati in quel - fatta parte per te
stesso, ("dov'è, commenta il Grabher - l'orgoglio e il
dramma di una solitudine a cui giungono i sublimi
cercatori di quelle vette inaccessibili che danno si
l'ebbrezza di sentirsi al di sopra di tutti, ma anche la
sdegnata tristezza di vedere che nessuno ti segua e ti
raggiunga" ), l'animo del Poeta si riposa sereno
nell'oasi dell'ospitalità di signori generosi e
"cortesi" che sotto l'insegna del santo uccello fanno
sperare a Dante qualcosa di più di un aiuto per le sue
necessità materiali, perché negli Scaligeri, e in modo
particolare in Cangrande, il Poeta confidava per la
realizzazione di uno dei suoi più alti ideali: la
restaurazione dell'Impero. "Questo di Dante a Cangrande
è infatti un elogio che trascende non dico ogni forma di
interessata adulazione, ma perfino quasi la personale
riconoscenza che pure il Poeta ebbe e che certo dà lo
spunto alla accesa esaltazione. Se infatti nell'elogio
del gran Lombardo, che pure vedi come ideale
incarnazione di cortesia, v'è un cenno al personale
riguardo avuto verso il Poeta, in Cangrande il Poeta
sublima quasi la virtù in se stessa e per se stessa,
idealizzando nella fortezza, nella liberalità, nella
giustizia di lui, in tutte le sue magnificenze, le alte
virtù di un perfetto reggitore, ben degno del sacrosanto
segno che egli porta 'n su la scala." (Grabber). Prima
di proclamare il valore della sua poesia e la missione
della sua arte, Dante ha così tratteggiato gli ideali
che essa si propone di realizzare in terra: la città
ideale (Firenze), il cittadino ideale (Cacciaguida), il
sovrano ideale (Cangrande). E al di sopra di tutto
questo la voce, il grido della sua poesia. |
94 |
Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose
di quel che ti fu detto; ecco le 'nsidie
che dietro a pochi giri son nascose. |
|
94 |
Poi aggiunse: “Figlio,
queste sono le spiegazioni di quello che ti fu detto
(nell’inferno e nel purgatorio riguardo al tuo esilio);
ecco le insidie che si preparano (per te) nello spazio
di pochi anni (dietro a pochi giri: dietro a pochi giri
di sole). |
97 |
Non vo' però ch'a' tuoi vicini invidie,
poscia che s'infutura la tua vita
vie più là che 'l punir di lor perfidie». |
|
97 |
Non voglio
però che tu porti odio ai tuoi concittadini, poiché la
tua vita (per mezzo della fama) si prolungherà nel tempo
ben oltre il momento nel quale essi riceveranno la
punizione della loro perfidia”. |
100 |
Poi che, tacendo, si mostrò spedita
l'anima santa di metter la trama
in quella tela ch'io le porsi ordita, |
|
100 |
Dopo che,
tacendo, l’anima santa di Cacciaguida si mostrò libera
dal compito di rispondermi (letteralmente: di mettere la
trama in quella tela di Cui le avevo presentato l’ordito
con le mie domande), |
103 |
io cominciai, come colui che brama,
dubitando, consiglio da persona
che vede e vuol dirittamente e ama: |
|
103 |
io cominciai, come colui
che, nel dubbio, desidera il consiglio della persona che
è capace di distinguere la verità e che agisce
rettamente e ha una caritatevole disposizione: |
106 |
«Ben veggio, padre mio, sì come sprona
lo tempo verso me, per colpo darmi
tal, ch'è più grave a chi più s'abbandona; |
|
106 |
“Ben vedo, padre mio, come
il tempo incalza contro di me, per infliggermi un colpo
di tale gravità, che riuscirà più pesante a chi vi si
abbandonerà senza reagire; |
109 |
per che di provedenza è buon ch'io m'armi,
sì che, se loco m'è tolto più caro,
io non perdessi li altri per miei carmi. |
|
109 |
per questo motivo è bene
che io sia previdente, in modo che, se mi è tolta la
patria, io non debba perdere a causa dei miei versi la
possibilità di rifugiarmi in altri luoghi. |
112 |
Giù per lo mondo sanza fine amaro,
e per lo monte del cui bel cacume
li occhi de la mia donna mi levaro, |
|
112 |
Scendendo nell’inferno, il
mondo del dolore eterno, e salendo sul monte del
purgatorio, dalla cui bella cima gli occhi di Beatrice
mi hanno sollevato (alle sfere celesti), |
115 |
e poscia per lo ciel, di lume in lume,
ho io appreso quel che s'io ridico,
a molti fia sapor di forte agrume; |
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115 |
e poi attraverso il
paradiso di cielo in cielo, ho appreso cose che, se le
riferisco avranno per molti un sapore fortemente aspro; |
118 |
e s'io al vero son timido amico,
temo di perder viver tra coloro
che questo tempo chiameranno antico». |
|
118 |
e se (tacendo per paura)
mi mostro timido amico della verità, temo di perdere
fama tra i posteri (coloro che questo tempo chiameranno
antico).” |
121 |
La luce in che rideva il mio tesoro
ch'io trovai lì, si fé prima corusca,
quale a raggio di sole specchio d'oro; |
|
121 |
La luce nella quale
splendeva Cacciaguida, la gemma che avevo trovato in
quel cielo, dapprima divenne più fulgida, simile a una
lamina d’oro investita dal raggio del sole; |
124 |
indi rispuose: «Coscïenza fusca
o de la propria o de l'altrui vergogna
pur sentirà la tua parola brusca. |
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124 |
poi rispose: “Colui che ha
la coscienza macchiata o dalle proprie colpe o da quelle
di parenti e amici sentirà certamente la durezza delle
tue parole. |
127 |
Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
tutta tua visïon fa manifesta;
e lascia pur grattar dov' è la rogna. |
|
127 |
Ma nondimeno, messa da
parte ogni menzogna, rivela tutto ciò che hai visto; e
si dolga pure delle tue parole chi è in colpa (lascia
pur grattar dov’è la rogna: lascia pure che si gratti
chi è affetto da rogna), |
130 |
Ché se la voce tua sarà molesta
nel primo gusto, vital nodrimento
lascerà poi, quando sarà digesta. |
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130 |
Perché se le tue parole
riusciranno sgradite ad un primo assaggio, lasceranno
poi un nutrimento vitale, non appena saranno state
digerite. |
133 |
Questo tuo grido farà come vento,
che le più alte cime più percuote;
e ciò non fa d'onor poco argomento. |
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133 |
Queste tue affermazioni
faranno come il vento, che percuote più violentemente le
cime più alte, e questo (la proclamazione della verità
fatta senza paura) non costituisce piccolo motivo
d’onore; |
136 |
Però ti son mostrate in queste rote,
nel monte e ne la valle dolorosa
pur l'anime che son di fama note, |
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136 |
Per tale ragione in questi
cieli, nel purgatorio e nell’inferno, ti sono stati
mostrati solo spiriti di persone famose,
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139 |
che l'animo di quel ch'ode,
non posa
né ferma fede per essempro ch'aia
la sua radice incognita e ascosa, |
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139 |
perché l’animo di chi
ascolta non si appaga né presta fede ad esempi che si
fondano su cose o persone sconosciute e non
sufficientemente evidenti, |
142 |
né per altro argomento che
non paia». |
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142 |
né su altre dimostrazioni
di scarsa apparenza”. |
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Nell'ultima parte del canto il dialogo fra Dante e
Cacciaguida diventa, palesemente, un protratto monologo
che il Poeta recita a sé stesso. Un doloroso contrasto
tante volte avvertito nelle sue peregrinazioni d'esilio,
frena in lui l'ardore messianico che Cacciaguida vuole
comunicargli. L'esule ha bisogno d'aiuto, deve dipendere
dagli altri, specialmente dai potenti, proprio quelli
contro i quali il suo grido si è levato con più
violenza: la sua coscienza dovrà, dunque, venire a patti
con il vero; tuttavia solo la verità assicura all'uomo
la fama tra coloro che questo tempo chiameranno antico.
Brevi, violente metafore scoprono questa tensione
interiore che si è venuta accumulando nel mondo sanza
fine amaro e nel monte dal bel cacume: il tempo sprona
verso il Poeta per colpirlo con tagliente ferro (versi
106-107) e solo chi è tetragono non s'abbandona, ma può
"armarsi" di provedenza. Dopo la dichiarazione dei versi
112-120, che ha il sapore di una rabbiosa confessione,
quasi il Poeta si sentisse prigioniero delle meschine
necessità della vita, Cacciaguida non spiega, non
giustifica, impone: tutta tua vision fa manifesta. Nei
versi 124-142 "lo stile, dapprima così tenero ed
affettuoso quando si descrivono i dolori dell'esilio,...
prende una... magnificenza epica ispirata dalla
grandezza dell'animo, è il trionfo della dignità umana
sopra quei bassi calcoli d'interessi perituri che
costituiscono ciò che dicasi la prudenza; il trionfo
della poesia sulla parte prosaica dell'anima" (De
Sanctis). La crudezza plebea del verso 129 (e lascia par
grattar dov'è la rogna) diventa allora "espressione
insostituibile di offeso orgoglio morale e misura delle
più pure idealità" (Grabher), violenta affermazione
della propria libertà e della propria ansia di
rigenerazione morale. Dante cosi proclama i due
principii fondamentali della Commedia e della vera arte:
profondamente radicata nel vero, e di esso solenne
banditrice, la poesia, senza mai scendere a puro valore
pratico, deve offrire vital nutrimento agli uomini
bisognosi di verità oltre che di bellezza e questo grido
farà come vento, che le più alte cime più percuote: "Le
cime, il vento: balenante suggestione di paesaggio
alpestre e di forza di natura che ingigantisce una
statura morale, richiamando ben tetragono; sì che il
canto è come racchiuso entro queste sue fondamentali
immagini di potenza spirituale" (Grabher). Ma per essere
vital nutrimento, la poesia deve poggiare sul concreto
(versi 136-142), deve far sorgere le creazioni della
fantasia dalla più viva realtà. "Senti qui, conclude il
critico - la sodezza di un'arte, che, altamente ideale
nello spirito, mai si perde nel nebuloso e
nell'astratto, rendendo veramente " salde" anche le più
labili "ombre"". L'esule, superati i suoi risentimenti,
trascesi i suoi orgogli, i suoi amori e le sue angosce
nella certezza di una missione universale affidata alla
sua poesia, proclama il suo atto di fede nei valori
della vita e dello spirito. |
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